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L’arancino di Messina: storia e curiosità dei “piccoli soli” di Sicilia

L’arancino messinese è senza dubbio uno dei piatti tipici dello Stretto, espressione e vanto della cucina siciliana. Questa deliziosa pietanza ha origini antichissime, che si fanno risalire all’epoca della dominazione araba in Sicilia (IX-XI secolo). Il nome arancino trae la denominazione metaforica dalla sua forma, molto simile a quella di un’arancia, frutto di cui l’isola ne è ben ricca. L’antenato dell’arancino è in realtà il timballo: si racconta infatti che durante i banchetti gli arabi avessero l’abitudine di disporre al centro delle loro tavole un vassoio di riso aromatizzato alla zafferano e condito con carni e verdure. La pietanza veniva mangiata con le mani. Tra gli ingredienti di questa antica versione del manicaretto, mancavano il pomodoro e la caratteristica panatura dorata all’esterno. L’invenzione della panatura viene attribuita ai cuoci della corte di Federico II che, per consentire al loro sovrano di gustare in ogni dove il manicaretto, arricchirono la pietanza con un velo esterno di pangrattato. La panatura era proprio la soluzione ideale per non far deteriorare il riso e il condimento.



Sull’arancino aleggiano ancora una serie di misteri. Come riporta l‘Accademia della Crusca, le prime tracce dell’arancino in letteratura sono relativamente recenti. Tra l’altro le prime voci comparse nei dizionari, comparse a cavallo tra il XIX e il XX secolo , riportano la descrizione di una pietanza non salata, bensì dolce. Nel Dizionario Siciliano-Italiano di Giuseppe Biundi (XIX secolo) l’arancino viene descritto come “una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”. Sulla base di ciò, c’è chi mette in dubbio l’origine araba del manicaretto, collocando la nascita dell’arancino in epoche più recenti, precisamente nella seconda metà del XIX secolo. Nato come pietanza dolce, solo successivamente l’arancino si sarebbe trasformato in una specialità tipica salata.

Sembrerebbe dunque che non esista un “inventore” dell’arancino e che la versione che noi oggi assaporiamo sia il frutto di una serie di variazioni apportate nel corso dei secoli. Quel che è certo è che il riso speziato e aromatizzato con lo zafferano è stato introdotto dagli arabi, che erano soliti mangiarlo con erbe e carne, in monoporzioni. Successivamente, per facilitarne il consumo e arricchire la pietanza, vennero introdotte la panatura, il pomodoro (arrivato dall’America) e quindi il ragù (dalla Francia)

Arancino o Arancina?

Su questo dilemma, che da secoli attanaglia siciliani e non, risponde una volta per tutte l’Accademia della Crusca:

“Nel dialetto siciliano, come registrano tutti i dizionari dialettali, il frutto dell’arancio è aranciu e nell’italiano regionale diventa arancio. Ci sarebbe da dire anche che un tempo in Sicilia esistevano solo arance amare con la dominazione araba arrivarono quelle dolci e per distinguerle le amare erano aranci le dolci arance



Al dialettale aranciu per ‘arancia’ corrispondono il diminutivo arancinu per ‘piccola arancia’, arancino nell’italiano regionale: da qui il nome maschile usato per indicare il supplì di riso. I dizionari quindi concordano sul genere di arancino, ma le indicazioni del genere del nome che indica il frutto dell’arancio sono, oscillanti: le due varianti arancio e arancia coesistono, con una prevalenza del femminile nell’uso scritto e una maggior diffusione del maschile nelle varietà regionali parlate di gran parte della penisola. Il femminile tuttavia è percepito come più corretto – almeno nell’impiego formale – perché l’opposizione di genere è tipica nella nostra lingua, con rare eccezioni, per differenziare l’albero dal frutto.

Si potrebbe allora concludere che chi dice arancino italianizza il modello morfologico dialettale, mentre chi dice arancina non fa altro che riproporre il modello dell’italiano standard”.


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