IL COLLEGIO S. IGNAZIO E LA CHIESA DI S. MARIA DELLA SCALA DEI GESUITI IN PIAZZA CAIROLI
Dalla costruzione alla demolizione
Il 30 aprile 1975 il Collegio S.Ignazio di piazza Cairoli era stato completamente raso al suolo e le ruspe attaccavano la chiesa. Ricostruiamo i fatti di questa deprecabile storia di speculazione edilizia attraverso l’articolo apparso su “il soldo” del 3 ottobre 1976. Il battagliero settimanale, cui mi onoro di aver collaborato sin dai primi numeri, costava 50 lire, era diretto da Giovanni Carabellò e stampato dal grande Aurelio Samperi, che ne era anche editore.
“Una triste storia.
Un velo di mestizia calava sul volto dei passanti che assistevano, attoniti, alla demolizione dei Gesuiti a piazza Cairoli: per alcuni di loro la mente riandava ai tempi della scuola, quando il S.Ignazio costituiva l’istituto preferito della Messina bene, per altri la deliziosa chiesetta, i cui mosaici andavano in frantumi sotto i colpi di ruspa, aveva visto il coronamento di un sogno d’amore o aveva costituito, negli anni giovanili, l’occasione di incontri, sicuramente non di preghiera, nella messa buona del mezzogiorno. Era ancora un brandello della vecchia Messina che cadeva…Era, la demolizione dei Gesuiti, l’ultimo atto di un saccheggio della città che durava sin dal 1954 e che aveva visto, fra l’altro, la demolizione del composto palazzo Frette e la costruzione, in sua vece, di un orrendo cubo di cemento che aveva chiuso dalla via Garibaldi la visione della cupola di Santa Caterina, un saccheggio che aveva visto la edificazione attorno alla chiesetta dei Catalani di fabbricati a molti piani che avevano rovinato l’ambiente di quel gioiello della architettura…Avviene quindi che i gesuiti, proprietari del fabbricato di piazza Cairoli, decidano, per risolvere una situazione debitoria, di alienare scuola e chiesa. Si fecero avanti privati ed enti pubblici; da parte dei venditori si sarebbe preferito trattare con l’ente, il quale avrebbe sicuramente trasformato l’esistente ma mai demolito chiesa e scuola. Due furono gli enti che trattarono: l’Università ed il Comune. Per l’Università, che ha in affitto una miriade di appartamenti in città per uffici, istituti, ecc. sarebbe stato un buon affare potere concentrare, ed al centro della città, una serie di servizi evitando agli studenti lunghi e costosi spostamenti, ma la proposta di acquisto venne bocciata dal Consiglio di Amministrazione di quell’ente; chi fu uno dei più convincenti portatori della tesi della scarsa covenienza all’acquisto: l’ing. Giuseppe Merlino, sindaco a quell’epoca della città e quindi componente del consiglio di amministrazione dell’Università…Merlino, con la sua abilità di tecnico e di consumato politico sconsigliò l’acquisto…Chiuso il capitolo Università la trattativa proseguì con il Comune…A questo punto il solito Merlino riunì i capigruppo consiliari e prospettò l’acquisto, facendo però presente che, a parere dell’amministrazione comunale, era più opportuno, con le magre risorse, procedere alla demolizione ed alla ricostruzione dell’isolato 88 di proprietà comunale…i capigruppo concordarono con il Sindaco ma della demolizione e ricostruzione dell’isolato 88 non se ne parlò più…Tolti di mezzo i due più pericolosi concorrenti si fece avanti l’ing. Franza…concluse l’affare con i gesuiti, ormai con l’acqua alla gola, spuntando un prezzo di un miliardo e duecentocinquanta milioni, battendo così qualche altro ipotetico acquirente…Successivamente Franza concluse con la Standa (Montedison) un accordo per la costruzione sull’area dei Gesuiti di un magazzino Standa…il destino dei Gesuiti era segnato: giù scuola, giù chiesa, per erigere il monumento al consumismo; l’intervento del pretore Romano, le discussioni sul piano Borzì, la delibera comunale con il regalo a Franza di quattordici metri cubi per metro quadrato sono avvenimenti ampiamente trattati in questo periodico. Sembra quasi sogno ma è realtà, è la storia della politica asservita all’economia…”.
Il grande Aurelio Samperi, editore de “il soldo” alla cui scuola di giornalismo con orgoglio mi sono formato, pubblicava nella prima pagina del 26 settembre 1976 una lettera firmata (la sua) sulla demolizione della chiesa dei Gesuiti:
“Lettera aperta al Vescovo di Messina
Eccellenza,
Chi scrive è un comunista, iscritto al partito ormai da moltissimi anni, ma non per questo ateo o miscredente. Ha, infatti, sempre creduto in Dio ed ha, soprattutto amato e venerato l’umanissima figura di Gesù. Da comunista e da cristiano è, inoltre, un ammiratore dell’abate Franzoni che, soffrendo, subisce la sua penosa sanzione, in perfetta canonica obbedienza – al contrario del vescovo “tradizionalista” Lefebvre che, sospeso a divinis, continua arrogantemente a celebrare. E come l’abate Franzoni, chi Le scrive è un emarginato della Chiesa. Benché l’abbia più volte chiesto gli è stato, infatti, sempre negato il Sacramento del matrimonio, adducendo a pretesto il suo impegno politico. Non è questa l’occasione per fare questioni di ordine teologico o morale sui rapporti fra fede e politica (basta però ricordare le censure subite dai cosiddetti “cattolici del dissenso” candidati nelle liste del PCI alle ultime elezioni politiche) ma Le si vuole fare rilevare come, allo scrivente, di null’altro colpevole che di avere un ideale di giustizia e di uguaglianza, sia stata negata la grazia di un Sacramento. Nessuna sanzione canonica, neppure la disapprovazione morale, è stata, però, inflitta a coloro che distruggendo con tanta spregiudicatezza il tempio del Dio della Bibbia, comune a tre religioni, si apprestano ad edificare al suo posto, con le strutture di un supermercato, un tempio al Vello d’Oro del dio denaro.”
Nino Principato
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