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Un suggestivo angolo della Messina del passato la sconosciuta via delle carceri

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UN SUGGESTIVO ANGOLO DELLA MESSINA DEL PASSATO: LA SCONOSCIUTA VIA DELLE CARCERI

E’ l’oggetto del desiderio delle migliaia e migliaia di turisti (ma anche dei messinesi) che ogni anno sbarcano dalle navi da crociera nella nostra città e li vedi arrancare verso il Tempio-Sacrario di “Cristo Re”: è la strada delle Carceri che conduce ad uno splendido portale in pietra perennemente sprangato che, se aperto alle visite, consentirebbe di fruire di emozionanti brani architettonici della Messina medievale e al tempo stesso di accorciare notevolmente la strada per raggiungere la circonvallazione e, quindi, il maestoso Tempio votivo dedicato ai Caduti di tutte le guerre. Questa la suggestiva storia dell’ennesima occasione mancata di sviluppo turistico e culturale di questa dannata città.
Quando Riccardo I duca di Normandia e re d’Inghilterra, meglio noto col soprannome di “Cuor di Leone”, si trovò a Messina dal settembre del 1190 all’aprile del 1191, prima di proseguire con Filippo Augusto re di Francia per la Terra Santa durante la Terza Crociata, nella città erano potentissimi i greci che angariavano i messinesi (latini). Malvisti da Riccardo, venivano da esso osteggiati e durante il suo soggiorno messinese, egli riusciva a fiaccarne l’orgoglio facendo ampliare, sulle alture di Messina, un’imponente fortezza che prese poi il nome di “Matagriffone” (oggi Tempio-Sacrario di “Cristo Re”). Non a caso il nome deriva dall’unione di “Mata”, dal latino “mateare” (ammazzare) e “griffone”, con il quale erano denominati in senso dispregiativo, nel Medio Evo e specialmente a Messina, i greci.
Si dovette trattare, appunto, di una ristrutturazione integrale proseguita anche dopo la partenza di Riccardo poiché la fortezza, di ignota fondazione anche se di poco posteriore all’epoca greca – giacchè Polibio riferisce che da essa i Mamertini scacciarono il pretore cartaginese – fu restaurata dai normanni.
Semidistrutto dal terremoto del 1908, del castello di “Rocca Guelfonia” (altro nome con il quale era inteso, derivando da “castello del re guelfo” e, cioè, di Riccardo I) venne conservata la sola torre merlata, a pianta ottagonale, e alcuni locali oggi sottomessi alla strada di circonvallazione cui si accede da un pregevole portale bugnato nella sottostante via delle Carceri. Questa monumentale porta seicentesca, con un concio di chiave raffigurante una testa con funzione apotropaica, reca sulle bugne dei piedritti antiche iscrizioni propiziatorie e invocazioni religiose graffite col coltello dai parenti dei carcerati, alcune datate del ‘700, quando appunto i locali sotterranei del castello erano adibiti a luoghi di pena.
Sulla grande spianata, ottenuta dalla barbara demolizione di quanto era rimasto, nonostante i resti fossero stati vincolati nel 1925 con decreto del Ministero della Pubblica Istruzione, fu costruito il tempio di “Cristo Re” su progetto dell’ing. Francesco Barbaro, inaugurato il 28 ottobre 1937. Nell’imponente torre, rimaneggiata durante la ricostruzione post-terremoto, venne tenuto prigioniero, nel 1284, Carlo D’Angiò detto “lo Zoppo”, catturato dall’Ammiraglio Ruggero da Lauria, durante una battaglia navale nel golfo di Napoli, prima che venisse trasferito in Spagna. Sulla copertura, l’11 agosto del 1935, fu collocato il “campanone” fuso con il bronzo dei cannoni nemici della guerra 1915-18 che, con un’altezza di 2,80 metri ed un peso di 130 quintali, è fra le più grandi campane d’Italia.
La ricostruzione del castello, iniziata come si disse al tempo di Riccardo I, dovette continuare in epoca sveva, sotto Federico II, e probabilmente a questo periodo (inizi sec. XIII) è da collocare la realizzazione della torre. Essa esemplifica le tipologie architettoniche ed i requisiti richiesti per la difesa “passiva”, quando gli assalti e le espugnazioni avvenivano all’arma bianca, prima dell’avvento delle artiglierie con l’invenzione della polvere da sparo.

Nino Principato


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Alessandro Sidoti

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Alessandro Sidoti

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