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Messina è una città che spesso dimentica il suo passato, il rapporto con il paesaggio e la natura.
Una città piena di torrenti che nei secoli hanno delineato i confini della sua espansione urbana, e che negli ultimi decenni, da risorse sono diventate delle discariche i cui rifiuti contribuiscono (secondo una recente ricerca condotta dall’Università di Barcellona, in collaborazione con il Joint Research Centre (JCR) della Commissione Europea e altri enti, soprattutto italiani) a rendere lo Stretto di Messina la più grande discarica sottomarina al mondo.

Per chi avrà la pazienza di leggere tutto il post, oggi parlerò di uno dei maggiori torrenti di Messina, il Camaro (un torrente talmente importante da essersi guadagnato un posto nella prestigiosa Fontana di Orione posta in piazza Duomo, ritenuta dallo storico d’arte Bernard Berenson: “la più bella fontana del Cinquecento europeo”) e dell’omonima Vallata.

Il Camaro è un torrente messinese che nasce dai monti Peloritani presso il villaggio di Camaro Superiore, percorre la vallata omonima attraversando la città, fino a sfociare nello stretto di Messina.

Il nome Camaro deriva dall’arabo hammar ‘asinaio’, ‘colui che guida i muli’.
Nell’antichità probabilmente era zona di mulattieri.
Alcuni ritengono che derivi dal greco kàmmaros ‘tipo di pianta, aconito’, ma è improbabile, sia per l’accento, che in greco è diverso, sia per la forma antica e quella dialettale, al plurale, Cammari, che fa propendere per ‘i mulattieri’ (stesso significato di Bordonaro, che fra l’altro è a poca distanza da Camaro, e deriva dal greco burdonàrios ‘asinaio’).
Secondo alcuni storici locali il toponimo Camaro deriverebbe dal termine “camarelle” o “camerette” ovvero le tombe a camera ricorrenti in quest’ambito di cui esemplare rimane in situ la monumentale sepoltura di largo Avignone sotto la scalinata della caserma Zuccarello; monumentale tomba a camera, unica nel suo genere in Sicilia e nel Meridione d’Italia, che costituisce ancor oggi in un certo senso l’epicentro di un’enorme necropoli che interessava anche la Valle di Camaro e che si caratterizzava sia per estensione che per la sistematica sovrapposizione delle sepolture, stratificatesi nel corso dei secoli a partire probabilmente dal VI secolo a.C. per arrivare quasi al V secolo d.C.

Il torrente Camaro alimentò il primo acquedotto messinese, progettato dall’architetto Francesco La Cameola nel 1550-1553.
Grazie a quest’opera di bonifica, la parte bassa del torrente divenne abitabile e nacque il borgo di Ciaera o Zaera.

Il nome Zaera, Zaèra – Ciaèra – Cièra ha la propria chiave di lettura nel termine siciliano cièra, seggia, seggiola e probabilmente indicava il toponimo Largo Seggiola, che ne costituirebbe il primario nucleo storico.
Il cambio di nome in questa parte finale del torrente e della zona, probabilmente è dovuto al fatto che il Camaro riversava le sue acque secondo diverse direttrici corrispondenti all’attuale viale Europa (corso principale), quindi via Santa Marta, via Santa Cecilia e via Maddalena.
Testimonianze archeologiche documentano infatti la realizzazione all’altezza dell’attuale piazza Francesco Trombetta di un’opera d’ingegneria idraulica che consentì di deviare verso sud il flusso proveniente da monte, evitando così danni alla parte meridionale dell’insediamento peloritano già in epoca classica.

Per celebrare l’inaugurazione dell’acquedotto, il senato messinese chiamò il grande Michelangelo per costruire, nella piazza del Duomo, la fontana di Orione.
L’artista, impedito, inviò lo scultore fiorentino Giovanni Angelo Montorsoli che la scolpì.
Ritenuta una delle più belle fontane del Rinascimento italiano, contiene attorno ad essa la personificazione di quattro fiumi: il Nilo, il Tevere, l’Ebro e il Camaro.
Quest’ultimo è raffigurato insieme ad una donna – personificazione della città di Messina – che lo incorona.
Su di esso è il seguente distico: Sum patriae famulus Cameris exortus aquosis/officio manant flumina tanta meo (“Son figlio di questa terra, nato dai monti Cameri ricchi di acqua, per opera mia sgorgano tanti zampilli”).

Oggi le acque del Camaro sono in gran parte coperte dallo svincolo autostradale e nella parte bassa dalla copertura del viale Europa, e sono canalizzate nel sottosuolo per poi sfociare nel mar Ionio.

La valle di Camaro è dominata dal cinquecentesco Castello Gonzaga, edificato verso il 1535, sotto il regno di Carlo V d’Austria, inoltre la valle fu sede di altre fortificazioni nel periodo umbertino.

Alla fine dell’Ottocento risale la costruzione dell’imponente viadotto ferroviario.

Dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 la valle fu occupata da un vasto complesso di baracche in legno.

Recenti studi, mettono in evidenza alcuni paesaggi ritratti da Antonello da Messina, proprio dalle colline di Camaro, in particolare la Crocifissione di Anversa.

Il patrono di Camaro Superiore, a cui i cammaroti sono molto devoti, è ‘San Giacomo Apostolo’, detto il Maggiore, martire a Gerusalemme intorno all’anno 44.

Il culto di questo Santo, a Messina, risale all’epoca normanna, intorno all’XI­-XII secolo, quando fu probabilmente costruita dietro al Duomo l’antica Chiesa di San Giacomo; fortemente danneggiata dal terremoto del 1783, della quale rimangono soltanto alcuni resti nelle vicinanze dell’attuale Largo San Giacomo.

La fede nel Santo a Messina si rinforzò con la dominazione degli Spagnoli; intorno al 1550, fu costituita la ‘Confraternita di S. Giacomo Apostolo il Maggiore’, ancora oggi a Camaro importante punto di riferimento del culto e della grande devozione verso il loro Patrono.

Interessante anche il Museo, voluto e ideato da Padre Antonino Cento, parroco della Chiesa di Santa Maria Incoronata (XVI sec.) a Camaro Superiore, che contiene preziosi arredi sacri ed ex voto (XVII – inizio XX secolo).

Ogni anno, a fine luglio, si svolge la processione del Ferculum del Santo (parola latina, che significa ‘carretta’, dove si mettevano le statue degli dei, portate in processione), un grande e bellissimo capolavoro artistico realizzato nel 1666 dai fratelli Juvarra, noti argentieri messinesi.
La processione parte dalla parrocchia di Camaro, in direzione del Duomo.
Il ‘Fercolo’ viene portato a spalla dai fedeli, con la classica andatura ondeggiante detta “a nnacata”, insieme ai devoti della ‘Confraternita di San Giacomo’.
Durante la sosta in Piazza Duomo, i bambini piccoli vengono fatti passare sotto il ‘Fercolo’ per ottenere la protezione del Santo.
Dopo la Messa in Cattedrale viene posto sul Ferculum il ‘Sacro Capello della Madonna della Lettera’, portata in processione nelle strade intorno al Duomo per poi farvi ritorno, riprendendo la statua del Santo per riportarla a Camaro. Caratteristico è il rientro, a tutta velocità, nella Chiesa di Camaro, quasi a simulare un modo di scappare a un tentativo di furto avvenuto nel Settecento.

Accanto alla tradizione religiosa, c’è anche quella legata alle leggende popolari, che vedono Camaro al centro delle vicende di Mata e Grifone, i due leggendari giganti, fondatori della città di Messina (il quartiere di Camaro si è chiamato anche di ‘Mata e Grifone’).
Secondo la tradizione, proprio a Camaro era nata Mata (nome dialettale di Marta), figlia di re Cosimo II da Castelluccio; durante la dominazione araba, intorno al 970, un gigantesco invasore moro di nome Hassas Ibn-Hammar, sbarcò a Messina per saccheggiarla, ma quando vide la bella ‘cammarota’, se ne innamorò e la rapì. La fanciulla acconsentì al suo amore, solo dopo la sua conversione alla fede cristiana. Egli cambiò il nome in Grifone, si sposarono ed ebbero parecchi figli, secondo la leggenda, i capostipiti dei messinesi.

Ancora oggi, a Messina, u Giganti e a Gigantissa, due enormi statue di cartapesta su due cavalli, poco prima di Ferragosto, vengono portati in giro per la città fra danze e canti folcloristici.
I giganti sono stati identificati con vari personaggi mitologici, Kronos e Rea, Zanclo e Rea, Cam e Rea: da questi ultimi in particolare si vorrebbe trarre un’altra origine del nome Camaro.

Una storia quella del torrente Camaro e della sua Vallata strettamente connessa con la nascita e lo sviluppo della città di Messina. Una storia troppo spesso dimenticata che ha nel saccheggio edilizio delle colline, nelle baracche, nelle discariche abusive, nell’assenza di spazi verdi pubblici (unica eccezione la pineta di Camaro che tuttavia, paradossalmente non è accessibile da Camaro), nei problemi di viabilità e vivibilità, la sua più grande vergogna.

Di chi è la colpa? Probabilmente anche nostra. Perché al bello abbiamo preferito l’interesse economico; allo sfruttamento delle risorse…l’inerzia ed il lassismo; all’azione attiva la rassegnazione ed il vittimismo; perché forse ci conviene…ci giustifica…perché è più facile lamentarsi della situazione attuale che impegnarsi per cambiare le cose.
A questa città e a tutti noi occorre un cambio di mentalità, occorrono idee e soluzioni ai tanti problemi (ma senza aspettare la manna dal cielo). Il cambiamento deve partire principalmente da noi, prima lo capiremo e meglio sarà per tutti.
Ernesto Bernardo


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