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Forte S. Salvatore

Forte S. Salvatore sorge sull’estrema punta della falce. La zona, frequentata sin da tempi molto remoti come attestano i ritrovamenti di ceramiche greche databili all’VIII secolo a.C., occupa un’area strategica di grande rilevanza e di suggestivo impatto visivo. Falce, in greco Zankle, fu il più antico nome di Messina e questo insieme ai ritrovamenti della zona falcata (probabile area sacra), chiarisce che questa parte della penisola fu frequentata fin dalla fondazione della città. Il forte deve il suo nome alla preesistenza del monastero del SS. Salvatore, convento basiliano. La costruzione di questo monastero ebbe inizio verso il 1094 e fu portata a termine sotto il regno di re Ruggero di Sicilia, nel 1132. Primo abate di questo monastero fu Bartolomeo da Sieri, monaco di Rossano Calabro, che abbandonata la vita mondana, si diede prima a vita eremitica, quindi al proselitismo, radunando intorno a sé numerosi discepoli in un monastero calabro noto con il nome di Santa Maria Odigitria. Ma essendo questo abate molto anziano ed avendo manifestato il desiderio di ritirarsi nel primitivo monastero calabro di Rossano il re Ruggero, con una bolla del 1130, dispose la sua sostituzione con lo Jeronimo Luca. Con una successiva bolla del maggio 1131 dispose anche che il monastero venisse ingrandito e abbellito e che assumesse la denominazione di archimandritato e l’abate Luca quella di archimandrita. A sua volta l’arcivescovo di Messina Ugone, con un rescritto dell’ottobre dello stesso anno, gli diede potere e possesso su ben 35 chiese e monasteri diversi. Luca fu abate solerte e zelante, aprì all’interno del monastero uno scriptorium (che di li a qualche secolo raggiunse una buona notorietà) ed una scuola di arti e mestieri, ed è considerato l’autore del Typicam, specie di regolamento cerimoniale per i monasteri dipendenti. Cosi facendo attirò ben presto diversi monaci dediti allo studio e alla compilazione di testi sacri, classici e musicali (preziosi codici musicali greco-bizantini sono custoditi presso la Biblioteca Regionale di Messina). Luca morì il 27 febbraio 1149. Posto a capo di tutti i nuovi monasteri costruiti dai basiliani in Sicilia e Calabria, il SS. Salvatore riuscì a riunire sotto di sé ben 62 altri monasteri e 21 priorati. Dal punto di vista militare il SS. Salvatore fu anche un baluardo efficientissimo. Nel 1342 fu l’ultimo rifugio dei rivoltosi che si erano opposti al duca Giovanni, vicario del Regno e, nel 1356, fu per qualche tempo nascondiglio delle truppe angioine; ritornate a sbarcare a Messina dopo essere state cacciate in seguito alle vicende del Vespro siciliano. Nel 1385, ormai noto ed affermato in tutto il mondo di allora e ritenuto uno dei più importanti centri di studio dell’isola, ospitò il papa Urbano VI. Nel suo interno, oltre la vita monastica fatta di meditazione e di preghiera, secondo la regola basiliana, fervevano le arti e i mestieri, operavano una azienda agricola e artigiana e una fiorente salina, mentre si aprivano a chiunque la biblioteca e una scuola divenuta in breve il più prestigioso centro di studio e d’insegnamento della cultura greca e latina nel Mediterraneo. In essa, in varie epoche, si alternarono il Lascaris (dal 1467), il Bembo, il Maurolico, lo spagnolo Pietro Scobar, ed altri uomini di cultura. Decaduto successivamente nel costume e nella funzione, mentre era archimandrita il nobile messinese Annibale Spadafora, l’imperatore Carlo V dopo il 1535, anteponendo gli interessi militari a quelli religiosi e volendo munire l’entrata del porto di Messina di un forte baluardo difensivo; fece demolire il monastero annesso alla chiesa e al suo posto fece costruire un deposito di munizioni collegato all’antica torre di Sant’Anna che sorgeva sulla punta della penisoletta di San Ranieri. Il forte era costituito in origine da due bastioni – uno rettangolare (non più esistente), l’altro pentagonale – posti a oriente, ai lati dell’ingresso e collegati con lunghe mura rettilinee ad un baluardo a pianta circolare, conosciuto come forte Campana adibito a polveriera e batteria di tiro, strategicamente rivolto verso il porto, l’abitato e l’ingresso alla città dal mare. Il complesso fortificato prese il nome ed il posto dell’omonimo preesistente monastero basiliani. Il 3 luglio 1549 la polveriera fu colpita da un fulmine ed esplose. Lo scoppio devastò i fabbricati vicini e la stessa chiesa, ricca di preziose opere d’arte, fu gravemente danneggiata. Riadattata e nuovamente aperta alla devozione dei fedeli, fu successivamente trasformata in cappella militare e chiusa alla cittadinanza. Se ne perse traccia tra il Settecento e l’Ottocento (unica testimonianza una fonte battesimale dell’XI secolo, oggi al Museo). Intanto dopo la demolizione del monastero, voluta come già detto da Carlo V, una nuova chiesa ed un nuovo monastero furono costruiti sulla sponda opposta, sulla foce del torrente Annunziata presso a poco nella zona dove oggi ha sede il Museo Regionale di Messina, …e verso il 1573 fu condotto a tale da essere abitato, sebbene non aveva perfezionamento che nel 1743.
Il Buonfiglio così lo ricordava:

“Indi caminando per l’amena spiaggia verso il Faro non molto distante s’arriva al Monistero del Salvadore nuovamente eretto con fabbriche maestose, e di molta bellezza, come Capo e Primate degli altri Monasterij della Regola di San Basilio de Greci sudditi dell’Archimandrita così di Sicilia, come, parimenti di Calabria.”

Nel 1614 il forte fu soggetto a lavori di adeguamento: l’ingresso viene spostato nella sede attuale, ornato da un arco bugnato e sormontato da una iscrizione in spagnolo (che riporta anche la data dei lavori) con lo stemma reale. Forse nella medesima occasione furono introdotti il fossato ed il ponte d’accesso (entrambi in uso fino a tutto l’Ottocento e poi cancellati) e la porta della polveriera, costituita da un sistema ad arco bugnato e colonne ioniche addossate, sormontati da un cornicione.
Dovrebbe essere invece appena successivo, e comunque sempre seicentesco, l’inserimento dei due baluardi pentagonali tra i muri di collegamento dei bastioni orientali con il forte Campana. Nel 1674, durante la rivoluzione antispagnola il forte fu espugnato dai Messinesi che lo tennero per quattro anni. Il terremoto del 1783 provocò diversi danni ben presto riparati. Passato il pericolo di attacchi dal mare la fortezza fu usata soprattutto contro la città; i suoi cannoni insieme a quelli della vicina Cittadella tuonarono spesso contro Messina. Altre modifiche si riscontrano intorno al 1840 quando, per posizionare nuove e più potenti artiglierie, viene ampliato il camminamento esterno al porto con la costruzione di una nuova cortina parallela alla preesistente. Nel 1848 fu occupata dai Borboni insieme all’intera zona falcata e ancora una volta usata contro la città fino al 1861 data in cui la penisola di San Raineri viene conquistata dalle truppe garibaldine. Il disastro del 1908 provoca danni notevoli al muro ed ai baluardi rivolti verso la città, poi demoliti, e lo stesso bastione circolare subisce dei crolli, tuttavia limitati. Delle fortificazioni fatte erigere da Carlo V si ammira ancor oggi, pur con profonde modifiche, l’avanzato tamburo sulla punta estrema della penisoletta di San Ranieri sul quale, nel 1934 per volere di Monsignor Angelo Pajino arcivescovo di Messina , fu innalzata una stele votiva dedicata alla Madonna della Lettera, patrona della città. Su progetto dell’ingegnere Francesco Barbaro dell’Ufficio Tecnico Arcivescovile, al centro del bastione circolare viene eretta una colonna alta 35 metri, in cemento armato rivestita in pietra di Trapani, a pianta ottagonale e sezione decrescente, sormontata da un globo di 3 metri su cui è collocata la statua benedicente della Madonna (alta 7 metri), opera dello scultore Tore Calabrò.
Sul fronte del baluardo rivolto alla città viene inoltre apposta, a grandi lettere, la frase che secondo tradizione è contenuta nella lettera trasmessa dalla Vergine ai messinesi

“Vos et Ipsam Civitatem Benedicimus”

Le luci vennero accese direttamente dal pontefice Pio XI, da Castelgandolfo, con un’apparecchiatura radio elettrica ad onde ultra corte messa a punto da Guglielmo Marconi. Malgrado le demolizioni e le manomissioni, nel S. Salvatore – di fatto mai aperto al pubblico e di cui è attuale titolare la Marina Militare – possono ancora oggi leggersi (almeno nel bastione pentagonale) le più tipiche caratteristiche delle costruzioni difensive cinquecentesche quali la cornice semicircolare, il muro a scarpa, lo spigolo in conci squadrati di pietra e la guardiola angolare a pianta esagonale con mensole sovrapposte in aggetto, mentre resta tutta da definire una lettura storica più ampia che ricomponga, anche attraverso un’analisi archeologica, la successione dei diversi elementi stratificati nel corso dei secoli.


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