SABATO SERA, DOVE ANDIAMO A BALLARE?
VIAGGIO-AMARCORD TRA DISCOTECHE E DANCING CHE NON CI SONO PIU’
Nel 1964 gli “Shadows” raggiungevano il successo con “Geronimo” mentre i nostrani “Equipe 84” si imponevano all’attenzione del pubblico con la loro versione di “Tell me” dei Rolling Stones: il titolo italiano era “Quel che ti ho dato”. Ma protagonista incontrastata del beat italiano era Patty Pravo, regina del “Piper” di Roma, magnifica interprete di quel “Ragazzo triste” che “aveva inneggiato alla caduta delle ipocrisie tra i due sessi”. Ed erano gli anni delle feste in casa, con le luci rigorosamente accese e la fonovaligia di “Selezione” che qualche compagno era riuscito a farsi acquistare, con sacrifici, a rate dai genitori, e si sognava immersi in sentimenti puliti, col cuore che accelerava i battiti ai rari contatti ravvicinati del cosiddetto “ballo della mattonella”. Il 1966 era stato anche l’anno del boom del beat italiano e dei complessi: “I Corvi”, che si esibiscono con un vero corvo appollaiato al manico del basso; “I Nomadi” che cantano “Come potete giudicar” e diventano la bandiera del nascente conflitto generazionale; i “Pooh”; “The Rokes”; “I Giganti”; l’”Equipe 84” che vinse al Cantagiro con “Io ho in mente te”; i “Dik-Dik” e, naturalmente, Adriano Celentano e “I Ribelli”. Una musica oggi tanto vecchia da non avere tempo, la musica di un sogno. Un sogno, un’illusione che aveva le parole di “California Dreamin” (“Sognando la California”) con la quale le “gazzelle africane” nostrane dominavano Festivalbar e Juke box.
Erano passati gli anni ’60 e già correvano i ’70 e allora la parola d’ordine era: “sabato sera, dove andiamo a ballare?” Già, perché in quegli anni i dancing si chiamavano discoteche e allora via, verso la mecca Taormina, rigorosamente in 5 all’interno della sofferente utilitaria. Oppure a Milazzo dove, scartata la “Grotta di Polifemo” con la sua pista circolare perché dancing per i matusa, le destinazioni non potevano che essere il Cirucco con Enzo Rossi e Alfredo Reni alla consolle o Le Cupole con Maurizio Presente e il duo Nuvio e Malinconico dj d’eccezione.
Chi non se la sentiva di andare così lontano, a Giampilieri Marina c’era la prima discoteca nata a Messina e inaugurata nel 1971 addirittura da Fred Bongusto, la “Taverna Bianca”. Oppure, in città, la scelta cadeva fra l’”Hifi” (divenuto poi Rombo), l’”El Toulà” e il “Blue Moon”. L’”Hifi” era in un locale retrostante il cinema Lux, l’”El Toulà”, la prima mega discoteca del Sud Italia, all’interno del cinema Apollo. Dj d’eccezione Antonio Lo Giudice lanciato già dall’Hifi; cantanti d’eccezione, Patty Pravo, Fred Bongusto, Riccardo Cocciante, Bruno Martino, Memo Remigi e persino Lucio Battisti; artisti d’eccezione, Nino Frassica e Zeppe (Giuseppe Favano). Uno dei proprietari era Angelo Presti, padre di Antonio Presti presidente e mecenate della Fondazione Fiumara d’Arte. Il pomeriggio discomusic, dopo le 21 night. Il “Blue Moon” sul Viale S. Martino chiudeva la serie delle discoteche cittadine.
E finalmente, dopo un avventuroso viaggio, si profilavano le luci di Taormina. La “Giara”, uno dei locali cult aperto nel 1953 da Chico Scimone, amico di Frank Sinatra e animatore della “dolce vita” taorminese, dove suonava il piano ed era accompagnato dal suo amico batterista Jimmy Falcone, non faceva per noi, più night club che discoteca: il nostro interesse allora andava al “Sesto Acuto” di Palazzo Ciampoli o al “Septimo”.
Negli anni ’80 avremmo avuto anche il mitico “Tout Va” dove cantarono, tra gli altri, Ray Charles, Gilbert Becaud, Franco Califano, Gino Paoli, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Barry White. Un enorme giardino che dal 17 luglio 1984 si impose come il locale fra i più frequentati in Sicilia quando Saro Fichera lo rilevò dal “Kursaal Casinò” a Villa Mon Repos. Dj d’eccezione, Aax, Barry Mason, Leo Lippolis, Maurizio Presente e Alfredo Reni. Di ritorno a casa si passava dal Mocambo in piazza IX Aprile, locale cult del jet set e degli incontri mondani dove nel 1976 il pittore francese Christian Bernard, amico del titolare Robertino Fichera, aveva dipinto in una parete un grande affresco dove sono raffigurati alcuni storici personaggi frequentatori del locale.
La notte cedeva il posto al giorno, l’avventura a Taormina, anche per questo sabato, si era conclusa.
EPILOGO
Il tempo divoratore ha spazzato via dancing e discoteche del passato. E non ci sono più neanche il “Ritrovo Granatari” che fece ballare i messinesi nei mitici anni ’50 e ’60 con Eduardo Vianello e i suoi “Flippers” ma anche i casalinghi “I nuovi Delfini”; il dancing “Irreramare” nato nel dopoguerra all’interno della Fiera dove memorabili erano le serate danzanti con le canzoni di Peggy Wolsh, le musiche dell’orchestra di Xavier Cugat con in mano l’inseparabile Cachita, un cagnolino Chiwawa e le canzoni del chitarrista Peter Wan Wood, detto l’”Olandese Volante”, che faceva addirittura “parlare” la sua chitarra con “Butta la chiave”; il ”Vecchia America” sulla Nuova Panoramica dello Stretto alla cui consolle regnava Zeppe (Giuseppe) Favano, l’indimenticabile e tosto Toruccio Tarallo. L’ultimo a cadere sotto i colpi delle ruspe della speculazione edilizia è stato il Ristorante-Dancing “La Macina” di Teo Aversa. E allora, per concludere questo amarcord, le parole più adatte non possono che essere quelle di Eugenio Preta che sulla “Macina” ha scritto ne “L’eco del sud”: “La Macina, quel luogo di incontro per gli innamorati della notte, che senza appuntamento si incontravano per fare festa in quel “Giardino dei limoni” che si affacciava sul Lago di Ganzirri, per scoprire nel silenzio della notte gli attriti di una generazione. Quanti amori nati in quel “giardino”.
Guai però a restare impassibili e peggio, nascondere nel disinteresse, la cancellazione di luoghi che proprio col loro fardello di uomini e di storie invece deve coinvolgerci tutti profondamente. Addio quindi alla Macina, a quella luna che abbiamo preso a morsi nel suo giardino in riva al lago e alla vita che pur passa e lentamente se ne va.”.
Grazie a
Nino Principato
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