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L’amore di Pascoli per la sua poetica Messina..
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Esordisce così Giovanni Pascoli, appena arrivato a Messina insieme alla sorella Mariù, in uno scambio epistolare con l’altra sorella, Ida a Santa Giustina: Lo Stretto è bello e l’aria è buona sebbene molto scirocchevole. Però umidità non ce n’è punta.
Prosegue scrivendo: Bella falce adunca, che taglia nell’azzurro il più bel porto del mondo, il bel monte Peloro verde di limoni e Glauco di fichidindia e l’Aspromonte che, agli occasi, si colora d’inesprimibili tinte.
Giunto a Messina nel gennaio del 1898 perché chiamato ad insegnare Letteratura Latina presso l’Università degli Studi della città peloritana.
Nominato professore ordinario senza concorso, tramite decreto, dal ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Codronchi Argeli, come previsto dall’art. 49 della legge Casati, Giovanni Pascoli si innamorò subito della città dello stretto, al primo fatale.
Il suo primo alloggio messinese fu un appartamento al secondo piano di Via Legnano, al numero civico 66, un’abitazione con gran numero di stanze e diversi fornelli a disposizione. Manca solo il camino, particolare che non sfugge a Mariù che se ne lamenta all’interno della lettera sopra citata, scritta insieme al fratello. Infatti, dopo la prima entusiastica impressione di Messina, la donna muta completamente in negativo la propria opinione, probabilmente condizionata dall’aggravarsi della malattia (il tifo), contratta nel marzo dello stesso anno, si ipotizza mangiando cozze a Ganzirri.
Io odio Messina e il suo bel cielo, sempre nuvolo…e il suo bel mare che vedo e il suo popolo…paghiamo carissima anche l’aria che puzza di concerie e di gas…bisogna cuocere tutto…
Malattia che colpì anche il Pascoli, ma che dopo la guarigione di entrambi rimase solo un triste ricordo, riconciliando con la città la stessa Mariù, tornata nuovamente di buon umore.
Amava trascorrere le vacanze estive a Castelvecchio di Barga nella sua diletta bicocca, come amava definirla, ritornando a Messina intorno a novembre per l’inizio dell’anno accademico.
Lasciata la casa di via Legnano, va ad abitare, dopo meno di un anno (siamo ancora nel 1898), in un appartamento di Palazzo Sturiale in piazza Risorgimento al numero civico 162. La zona è quella di nuova espansione a sud di Messina e l’alloggio, da lui descritto, si presenta moderno, ampio e sicuro, nel rispetto delle norme sismiche dell’epoca. E in effetti la sua valutazione sull’edificio si dimostrò impeccabile, considerando che scampò al sisma del 1908, restando ancora oggi in piedi nonostante il sacco edilizio che ha stravolto la città.
L’entusiasmo del poeta per la città e la nuova abitazione emerge in diverse descrizioni fatte dal poeta, in particolar modo in una lettera, nella quale Pascoli invita la sorella Mariuccina, che dopo le vacanze estive rimase nel suo paesino, a tornare a Messina: E’ pulitissima… bella vista… dalla cucina si vede il forte Gonzaga sui monti… dall’altra finestra il mare, su l’Aspromonte…
Descrivendogli anche lo studio che definisce stupendo, promettendo alla sorella che con un bell’arredamento diventerà il più bell’alloggio di tutta Messina.


Un amore smisurato quello del poeta per la nostra città che si evince anche da ulteriori racconti dello stesso Pascoli, un affetto rivolto non solo ai luoghi, ma in particolare alle persone che li popolano, come il collega Manara Valgimigli con il quale nei moemtni liberi amava passeggiare (mete preferite, la Palazzata, la Pescheria, la spiaggia di Maregrosso da dove ammira il “Fretum Siculum” e il mare), ed il portiere di Palazzo Sturiale, un certo Giovanni Sgroi a cui il poeta si affeziona, definendolo, in maniera probabilmente ironica: aborto di Polifemo: guercio, zoppo, piccolo.
Pascoli (a sx) con il bastone sulla spiagga di Maregrosso
Una persona con la quale il poeta avrà uno stretto rapporto, che lo spingerà, dopo il terremoto del 1908, a ricordarsi di lui e della sua grande bontà d’animo, inviandogli una grossa somma di denaro ed una lettera con un finale da brividi che recita così: Che la nostra Messina risorga più bella di prima.
La sciagura del 1908 sconvolge pesantemente Pascoli, andato via da Messina nel 1902 insieme naturalmente alla sorella Mariù. Il poeta soffre un dolore autentico, sentito, come quello di un figlio che perde un genitore, portandolo a dedicare le parole più belle a questa sua cara città, come quelle rese pubbliche sulla Gazzetta di Messina e della Calabria nel luglio del 1910, dal poeta all’avvocato Luigi Fulci.
Io a Messina ci ho passato i cinque anni migliori, più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti d’armonie della mia vita. Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare.
Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
Probabilmente la più bella dichiarazione d’amore fatta a questa città, così martoriata nel tempo, così diversa da quell’epoca, nella quale la poesia era di casa.

Grazie a Giovanni Majolino


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