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Quel Buddace di Omero , un Messinese ha scritto l’odissea?????

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QUEL BUDDACE DI OMERO
Un messinese ha scritto l’Odissea?

Il primo a sospettare che l’Odissea fosse stata un’opera interamente siciliana fu Apollodoro, filologo greco vissuto nel II sec. a.C.: “Secondo taluni l’Odissea sarebbe il racconto di un viaggio attorno alla Sicilia” (Apollodoro, “Epitome”, VII. 19). Già gli antichi sapevano ben poco sulla vita dell’autore dell'”Iliade” e dell'”Odissea”, che ritenevano fosse vissuto ai tempi della guerra di Troia (sec. XII a.C.). Incerto era anche il suo luogo d’origine. Sulla sua vita ci sono giunte, tramandate dalle antiche biografie, alcune leggende, come quella che fosse cieco o che abbia condotto una gara poetica con Esiodo. Nel ‘700, Giovanbattista Vico, escluse trattarsi di un unico autore (gli stessi antichi mettevano in dubbio la paternità di Omero). I poemi omerici non sono l’opera di un unico poeta ma il risultato di un lavoro collettivo di generazioni di rapsodi greci: “Essi popoli greci – scrive Vico – furono quest’Omero”.
A parte gli universalmente noti mostri Scilla e Cariddi (Cariddi si identifica a Messina col “garofalo”, in dialetto “galoffuru”, gorgo che si forma dall’incontro di correnti contrarie, ancora oggi vicino alla lanterna del Montorsoli) e il re Eolo Dio dei venti, secondo la mitologia greca figlio di Poseidone ed Arne, un luogo dell’Odissea che poteva essere soltanto messinese, sfuggito finora a chiunque, era la cosiddetta “Fonte del Pozzoleone” o “Fonte delle Belle Donne”. Nella via Garibaldi, dirimpetto al Teatro Vittorio Emanuele, esisteva un tempo la celebre fonte del Pozzoleone, così detta in onore del papa messinese Leone II (pontefice per meno di un anno, dal 17 agosto 682 al 3 luglio 683, quando muore e viene sepolto in San Pietro) che in quei paraggi aveva la casa di abitazione. La sorgente, ritenuta tra le più antiche della città, venne chiusa verso la fine dell’800 e la sua copiosa vena si perde ancora oggi in mare (prima che venisse realizzata la piazzetta, accanto al Jolly Hotel, era visibile la griglia attraverso la quale si vedeva lo scorrere continuo delle acque). Cajo Domenico Gallo, nel 1755, descriveva così questo fonte: “…perenne fonte del “Pozzo Leone” abbondantissima d’acque…ed anticamente nella spiaggia, poco distante, egevasi una fonte detta “Delle belle Donne”…” e riporta il testo di un’iscrizione già citata da Maurolico nel ‘500. L’antichissima fonte è proprio quella citata nell’Odissea al Libro VI, quando Ulisse parte dall’isola di Calipso con una zattera da lui costruita e fa naufragio nel territorio dei Feaci, presso la città di Scheria. Qui incontra Nausicaa, la figlia di Alcinoo, che si era recata con le ancelle alla fonte di acqua perenne per lavare le sue vesti essendo prossima alle nozze: “Quando arrivarono al bellissimo corso del fiume dove erano i lavatoi perenni e tanta acqua sgorga bella…quando le ancelle e lei stessa si furono ristorate di cibo, gettati via i veli dal capo giocarono a palla…e tutte son belle”, si legge nell’Odissea. È evidente, quindi, l’origine del toponimo dato in antico alla fontana, “Delle belle Donne”, e che solo lì, a Messina, c’erano le acque perenni che scorrono ininterrottamente. Esaminando il testo ancora più approfonditamente, ci si accorge che i dettagli della città di Scheria rispondono anche a quelli di Zancle-Messina: la città non deve essere posta su un fiume; la strada che conduce a Scheria corre parallela alla costa su un terreno basso; nelle immediate vicinanze c’è la spiaggia dove vengono stesi i panni ad asciugare; la città ha un porto (la penisola falcata con il primo insediamento di Zancle); ci deve essere un alto monte poco lontano (Dinnammare); c’è una darsena (quella greco-romana, poi Lazzaretto ed oggi Bacino di Carenaggio).
Nel Libro XII viene descritto il mito dei pascoli delle vacche sacre al Sole Iperione. Si narra che mentre Ulisse
si allontana per raccogliersi in preghiera, Euriloco fomenta gli altri convincendoli a rubare le vacche sacre al dio che pascolavano sulla spiaggia e fuggendo. Secondo l’interpretazione di padre Giovanni Parisi non lo fanno per fame ma per la cupidigia di impossessarsi di qualcosa che era certamente di gran lunga più preziosa, qualcosa che era prodotta in un’industria siderurgica a monte della piana di Mylas (Milazzo), la cosiddetta “Artemide Facelina” di cui parlano gli storici antichi. Col nome di “vacche splendenti” come si legge nell’Odissea, in realtà si denominavano pani metallici prodotti dall’industria siderurgica, pani di rame che per la loro migliore e più agevole trasportabilità, avevano la forma di una pelle bovina stesa, con sporgenze angolari allungate come fossero delle zampe. Pani di rame con questa tipologia sono stati ritrovati a Cipro dove tra il 1600 e il 1200 a.C. veniva commerciato il rame, a Micene, Eubea ed anche a Cagliari. Il trasporto di questi pani si trova anche raffigurato nella tomba di Rekhmire, funzionario di Totmes II della XVII Dinastia (1500 a. C.), dove mercanti cretesi detti “ktefiu” (da cui deriverebbe il nome del paese di Cattafi, frazione del Comune di San Filippo del Mela) sono impegnati in questa incombenza. È assurdo pensare che vacche-animali pascolassero sulla spiaggia dove non c’è erba e a poca distanza dalla nave di Ulisse: erano appunto pani di rame, accatastate vicino agli imbarchi.
Chi poteva conoscere tutto questo, con grande precisione, se non un messinese?
Grazie a…

Nino Principato!!!


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Alessandro Sidoti

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Alessandro Sidoti

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