Perché i messinesi vengono chiamati ” buddaci” … palazzo zanca Sede del….

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IL MUNICIPIO DEI 200 “BUDDACI”

Palazzo Zanca, sede del Municipio di Messina, prende questa denominazione dal suo progettista, l’architetto palermitano Antonio Zanca. Dopo il terremoto del 1908 che distrusse una parte dell’ottocentesco Palazzo di Città, che sorgeva inglobato nella Palazzata progettata da Giacomo Minutoli con affaccio sul mare, nel maggio del 1910 venne bandito un concorso nazionale per la realizzazione di un nuovo palazzo municipale. Vinse l’arch. Guglielmo Calderini ma il suo progetto non fu convalidato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per mancanza di conformità alle nuove norme sismiche. Rifatto il concorso, il Calderini ne fu nuovamente vincitore, ma ancora una volta il Consiglio Superiore dei LL.PP. espresse parere contrario. L’Amministrazione Comunale decise, allora, di affidare l’incarico ad altro concorrente, l’arch. Antonio Zanca e così, dopo l’approvazione del progetto, il 28 dicembre 1914 venne posta la prima pietra.


Sulla facciata principale e sui prospetti laterali le alte paraste sono coronate da bei capitelli realizzati da Antonio Bonfiglio su disegno dello stesso Zanca, con “delfini” stilizzati appaiati che evocano la vocazione marinara della città nei commerci e nelle attività portuali: ma quali “delfini”, ma quale vocazione marinara, quelli non sono altro che “Serranus cabrilla” (Linneo, 1758) detti “buddaci”, fatti realizzare per beffarsi e vendicarsi dei messinesi perché, secondo la “”nciuria”, hanno la bocca larga per parlare e vantarsi per poi non concludere niente ed abboccano ad ogni esca, appunto come questi pesci, cioè credono a qualunque cosa si dica.
Del fatto se ne occupò Daniele De Joannon che in un suo articolo su “Centonove” del 12 febbraio 1999, tra l’altro, scriveva: “Buddaci. Ogni giorno, per settant’anni, hanno visto i messinesi varcare il cancello in ferro con il Gran Mircì. Ogni giorno, per settant’anni, pagliette, orbaci, capelli raccolti, scarpe di sughero, minigonne. Ogni giorno, per settant’anni, camminare i loro simili. Sgambettare in lungo e in largo per la circonferenza del palazzo municipale. Che loro puntellano con la beffarda ironia di chi li ha disegnati. I buddaci.
Se si osservano con attenzione, infatti, non hanno i denti aguzzi a punta come i delfini e come in tutte le raffigurazioni scultoree che li rappresentano nelle fontane, ma dentiere perfettamente allineate di chiara forma umana. Inoltre, hanno le pinne laterali e sul capo che, notoriamente, ai delfini mancano.
Un epiteto di antica origine, “buddace”, se si pensa che è riportato anche in un manoscritto dell’abate Giuseppe Cuneo, “Avvenimenti della Città di Messina” del 1695, ristampato con note a cura di Marcello Espro e Giovanni Molonia. Ma in antico era motivo di orgoglio per indicare la superiorità dei messinesi, “buddaci” erano intesi perché non si facevano sottomettere da nessuno, reagivano coi fatti e con la bocca spalancata anche ad insultare, appunto, chiunque cercava di prevaricarli (prima del terremoto, infatti, c’era il detto “li ‘mmisca moffi su li missinisi” (chi dà gli schiaffi, sono i messinesi)). Poi, dopo il 1908, l’epiteto fu fatto passare, probabilmente dai palermitani da sempre in antagonismo con i messinesi, come carattere negativo di persone che spalancano la bocca solo per parlare e non realizzare niente. A quest’ultima versione nota così in quegli anni, evidentemente si riferì Antonio Zanca nella rappresentazione dei “buddaci” nei capitelli delle lesene.
Per spiegare il motivo di ciò, basta leggere le lettere con le quali Zanca richiese al Comune di Messina invano, numerose volte, il pagamento della sua parcella.
– lettera di Antonio Zanca del 25 aprile 1921 con la quale, tra l’altro, reclama giustamente il pagamento “[…] del mandato delle mie competenze, giacente da tempo nella Ragioneria del Comune”.
– lettera del 18 settembre 1921: “[…] Colgo questa occasione per far rilevare a V.S. che non ostante le mie reiterate insistenze nessun mandato di competenze mi è stato finora pagato da Cotesta On. Amministrazione…Lascio dunque a V.S. il giudizio se io abbia oppur no ragione di dolermene e mi astengo dal ripetere qui le mie giustificate lagnanze augurandomi che V.S. voglia benevolmente interessarsene come gentilmente mi ha promesso.”.


– lettera del 18 ottobre 1922 dove, tra l’altro, allega cinque parcelle di competenze in bianco per accelerarne i relativi pagamenti, “[…] Così sarà evitato il secolare perditempo che si è fin qui avverato per la esazione delle mie competenze.”
– lettera del 16 novembre 1922 nella quale prega l’ing. Lo Cascio, direttore tecnico dei lavori: “[…] che voglia far in maniera di spedire al Ministero, unitamente ai certificati di acconto per l’Impresa, le parcelle delle mie competenze, che fino ad ora non mi è riuscito di poter riscuotere…Io prego V.S. di volersi interessare di questo argomento, anche in considerazione del momento attuale, che lascia tutti dubbiosi del domani (la “Marcia su Roma” con l’avvento del Fascismo era avvenuta da poco, il 28 ottobre 1922, n.d.r.). E poi, non può far certamente piacere a nessuno il non veder compensato il proprio lavoro, e il dover erogare sempre somme, senza mai riceverne.”.
– lettera del 21 ottobre 1923 indirizzata all’ing. Enrico Albeggiani, Direttore Generale dei Servizi Tecnici del Municipio: “Io avevo già divisato da tempo di venire perché è veramente intollerabile la condotta dell’Amministrazione a mio riguardo! Si ricominciano i lavori ed io non l’ho avuto partecipato; anche per stabilire la modalità dei nuovi lavori da fare e per evitare che nuovi sbagli si commettano sarebbe stato opportuno! Verrò dunque anche perché nel contratto mi si dà obbligo di verificare se i lavori sono conformi al progetto. Verrò perché l’Amministrazione non pensa a pagarmi ed io ho il diritto di essere pagato…Sono già dodici anni di energia che ho sprecato per questo lavoro senza, si può dire, alcun compenso e non intendo continuare in questo andazzo che lede gravemente interessi e dignità.” e nella lettera del 5 ottobre 1924 Antonio Zanca definisce il palazzo municipale “[…] sangue del mio sangue e nulla tralascerò perché esso venga, per quel che non è stato ancora eseguito, ultimato secondo il mio intendimento”.



Il palazzo municipale sarà parzialmente ultimato e inaugurato il 26 luglio 1924 (bisognerà attendere il 1935 per la sua definitiva ultimazione con l’Aula consiliare). A questo punto i documenti tacciono e non sappiamo se il povero Zanca fu finalmente e completamente pagato.

Del fattaccio rimangono 200 buddaci che ancora oggi raccontano, a Palazzo Zanca, della beffa del progettista agli amministratori e ai messinesi dell’epoca.

Nino Principato


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Alessandro Sidoti

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Alessandro Sidoti

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