MESSINA CHE SCOMPARE
CASTELLO DI S. STEFANO MEDIO
Santo Stefano Medio è uno dei quarantotto Casali messinesi, misconosciuto ai più, il cui primo raggruppamento abitativo si ebbe già nel sec. XII, in Contrada Bruga. In antico il Casale veniva denominato “Mezzano” perché, geograficamente, era sito in posizione intermedia fra quello “Sottano” o “Santo Stefano Inferiore” (l’attuale “Santa Margherita”) e quello “Soprano” o “Santo Stefano Briga”.
Fare due passi oggi, nel centro del vetusto Casale, significa riscoprire ancora conservate, sia pure in parte stravolte da “disinvolti” interventi edilizi, le cospicue impronte del suo antico passato.
Il benvenuto al visitatore viene dato dalla cinquecentesca chiesa di San Nicola, la cui caratteristica cupola di sapore rinascimentale svetta sulle prime case. Ma ciò che sbalordisce di questo antico Villaggio dall’impianto urbanistico medievale, è la Chiesa Madre dedicata a Santa Maria dei Giardini che ostenta la barocca facciata abbacinata dal sole. Più che una chiesa è un ricco museo che custodisce preziose opere d’arte: il soffitto ligneo cassettonato; un dipinto raffigurante l’Assunta di Onofrio Gabrieli (sec. XVII); una tela di ignoto settecentesco con l’”Incoronazione della Vergine”; “La Pesca Miracolosa” del pittore Giovanni Simone Comandè (1580-1634); un’acquasantiera marmorea di Andrea Calamech (1524-1580); il pergamo marmoreo rinascimentale; l’affresco con le “Pie Donne” di Domenico Di Galli (1722) e l’opera più importante, il capolavoro assoluto, la tavola di “Santa Maria dei Giardini” di impianto raffaellesco, opera di Girolamo Alibrandi (1470-1524), del 1514.
Da una stradella campestre si sale al castello detto “dei Saraceni”, già appartenuto ai marchesi De Gregorio_Alliata, poi ai Picardi e quindi alla famiglia Martino ed oggi in abbandono. Una massiccia torre a pianta quadrata, il dongione o mastio, nido di pipistrelli e cornacchie, in compagnia di tre torrette-guardiole di avvistamento e circondata da un tratto di cortina muraria, è quanto rimane del vetusto edificio fortificato.
Alle spalle, lungo la collina, si sviluppa il borgo dove fra “bagghi” e “curtigghi” gelosamente rinserrati fra le antiche abitazioni, si svolgeva la vita all’ombra amica e rassicurante del maniero feudale.
Sotto, dal lato di nord-est, un affluente del torrente Santo Stefano è contenuto fra due bassi muri d’argine. Sull’intonaco ormai grigio, graffita nel 1630 con rozza mano d’ignoti marinai, una flotta veleggia col vento in poppa. Sono galeazze, galere, feluche, tartane, brigantini, il ricordo di un’epica giornata giunto miracolosamente intatto fino a noi: la battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 e la flotta vittoriosa partita dal porto di Messina, 450 anni fa.
Nino Principato
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