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MERAVIGLIOSA CATTEDRALE DI MESSINA, FRA SIMBOLOGIE E MISTERI

Cosa può comunicare oggi, a noi uomini e donne del 2000 che non viviamo più in mezzo ai simboli, la maestosa Cattedrale di Messina? Tantissimo, basta che ci vestiamo con abiti medievali, allontaniamo da noi superbia e delirio d’onnipotenza e da umili pellegrini e consapevoli di vacuità ne varchiamo la soglia, con umiltà, desiderosi di entrare in comunione col divino.
Ma prima ci soffermiamo ad ammirare la facciata e il portale maggiore. Qui, due triangoli con base comune fra l’arcangelo Gabriele a sinistra e la Vergine Annunziata a destra, con i vertici rispettivamente al centro del medaglione circolare raffigurante l’“Incoronazione della Vergine”, eseguita dal bergamasco Pietro de Bonitate a partire dal 1468 e ultimata nel 1475, così come il Padre Eterno nella cuspide sommitale e vertice del secondo triangolo, ci raccontano dell’Ascensione verso l’alto della Vergine Santissima.
Nel portale maggiore, gli stipiti interni ci ammoniscono con l’Apocalisse di Giovanni. Ed ecco il primo dei 7 segni, la donna incinta coronata che si protegge col manto dal dragone, la stella ad 8 punte ai piedi, riferimento al figlio definito “splendida stella del mattino”. Ed ecco un angelo col cartiglio e la scritta: “Timete Dominum et date honorem ei”. Ed ecco un angelo che incatena Satana: “Poi vidi un angelo che scendeva dal cielo e aveva la chiave dell’abisso e una gran catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico, che è il diavolo e satana e lo legò per mille anni” (Ap. 20, 1-2). Ed ecco una Donna col Bambino cui solletica il piede con tenerezza materna, in testa una corona di stelle e ai piedi il sole e la luna: è l’Immacolata “Bella tu sei qual sole, Bianca più della Luna”. Ed ecco l’Arcangelo Michele con corazza e scudo che uccide la “bestia” a 7 teste. Ed ecco il Bambino che vola in cielo per scampare al dragone, “E il figliuolo di Lei fu rapito presso a Dio ed al suo trono”. Ed ecco la “bestia del mare” con 7 teste: “E vidi salir dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, e sulle corna dieci diademi, e sulle teste nomi di bestemmia”.
Nel portale laterale destro, dall’alto ci guarda l’araba fenice, l’uccello di fuoco che risorge dalle sue ceneri. I padri della Chiesa accolsero la tradizione ebraica e fecero della fenice il simbolo della resurrezione della carne. La sua immagine ricorre spesso nelle catacombe con allusione a Cristo che risorge.
Il nostro sguardo viene catturato dalle teste di due strani personaggi scolpiti nelle fasce laterali al portale maggiore, nel paramento a tarsie marmoree orizzontali eseguite da Antonio Baboccio da Piperno (Piperno, 1351 – 1435). Uno è l’”Uomo Verde” dalla cui bocca fuoriesce rigoglioso fogliame. Presente nella simbologia medievale, l’”Uomo Verde” è spesso circondato e coperto da fogliame con rametti e viticci che gli escono dalla bocca e dalle orecchie perché ottiene il vigore dalla terra stessa, rappresentando il ruolo maschile nell’accoppiamento sessuale, nella fertilità e nella fioritura della vita. Simbolo, infatti, della fecondità della Natura, della potenza divina, i Druidi lo consideravano come colui che rinnovava la Terra, che traeva linfa ed alimento dalla primordiale energia dei boschi e dalla terra.
L’altro, col cappello frigio in testa è l’”Alchimista”. Egli usa il crogiolo dove la materia prima, come lo stesso Cristo, patisce la Passione, muore per risuscitare poi, purificata, spiritualizzata, già trasformata. La Grande Opera non ha, quindi, come scopo la semplice trasmutazione in oro dei metalli vili poiché è il proprio corpo che deve essere trasformato in “oro”. Il berretto frigio, presente nei numerosi culti misterici che dall’Oriente si diffusero nell’Occidente, divenne sinonimo di iniziazione: chi entra nel tempio ne è trasformato in quanto esso è la pietra filosofale che è pietra fisica della chiesa trattata dagli scultori-alchimisti. A Notre-Dame de Paris è, infatti, raffigurato l’alchimista, un vecchio barbuto con in testa il cappello frigio, simbolo dell’iniziato, e indosso il camice da laboratorio.
Ora possiamo varcare la soglia per essere al cospetto di un ottagono regolare: è il fonte battesimale attribuito al fiorentino Gaddo Gaddi (XIII-XIV secolo), decorato con tarsie marmoree e sorretto da colonnine cinquecentesche. Ci viene in aiuto S. Ambrogio in persona che nel IV secolo, a proposito della pianta ottagonale, diceva: “[…] era giusto che l’aula del sacro Battistero avesse otto lati, perché ai popoli venne concessa la vera salvezza quando all’alba dell’ottavo giorno Cristo risorse dalla morte.”.
E siccome adesso siamo umili pellegrini in abiti medievali e siamo in sintonia col linguaggio dei simboli, capiamo che 8 è il numero complessivo dell’universo e del rapporto fra Dio e creato, dal momento che esso è la somma dei tre numeri-cardine, 1 (Unità), 3 (Trinità) e 4 (materia, gli elementi acqua, fuoco, aria, terra).
E l’ottagono con 8 lati rappresenta l’elemento di mediazione fra il quadrato e il cerchio quando queste due ultime figure geometriche si intersecano unendo i punti di intersezione. Il quadrato è la terra, è la materia, è il finito mentre il cerchio è il cielo, è lo spirito, è l’infinito. E capiamo che per poter passare dal quadrato al cerchio ci vuole l’ottagono, ci vuole il battesimo, bisogna spogliarsi dell’”uomo vecchio” per vestirsi dell’”uomo nuovo”.
In alto, la stella a 8 punte nel soffitto ligneo cassettonato ricostruito sul modello di quello originario normanno-svevo, distrutto per tre volte nel 1256 da un incendio, nel 1908 dal terremoto e nel 1943 dai bombardamenti del Secondo conflitto mondiale, è ottenuta dalla rotazione di due quadrati e ribadisce la simbologia del numero 8.
Contiamo le colonne, sono 13 a destra e a sinistra e sorreggono le 12 arcate della navata centrale: sono gli apostoli, sostegno della Chiesa di Cristo.

Il nostro viaggio, per il momento, finisce qui, ma non smettiamo mai di indossare gli umili abiti medievali se vogliamo entrare in comunione col divino.

“Esiste un’Opera interiore che non è limitata né assorbita dal tempo e dallo spazio; vi si trova qualcosa che è Dio, qualcosa di divino e simile a Dio, che non è limitato né dal tempo né dallo spazio. Quest’Opera brilla e risplende giorno e notte”
(Meister Eckhart, “Trattati e sermoni”, sec. XIV)

Nino (Antoine) Principato


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