L’antica vallata di Mili …(Messina)
Le origini dei due antichi casali di Mili si fanno risalire ad epoca bizantina quando venne fondata, nella parte medio alta dell’omonima vallata, il primo nucleo dell’abbazia di Santa Maria.
Nelle vicinanze del cenobio bizantino incominciò a strutturarsi un iniziale abitato ad opera di contadini che lavoravano le terre di pertinenza dei monaci di rito orientale. La presenza di un’antica struttura monastica in fluvio de Mili è discretamente documentata già prima della conquista araba della Sicilia.
Tale struttura potrebbe essere stata fondata già tra il VI e VII secolo, nel periodo della riconquista giustinianea dell’Isola. Notizie sull’esistenza del cenobio bizantino derivano dallo studio del codice Vat. Gr. 2020, scritto a Capua sul finire del X secolo dal monaco Ciriaco che proveniva dalla comunità monastica di Mili e che aveva lasciato questi luoghi a causa di qualche incursione araba. Altre conferme arrivano dal diploma di fondazione del Gran Conte Ruggero che ricostruì la chiesa con l’annesso monastero, decaduti nel periodo della dominazione araba, dotandola nel 1091 di ampi possedimenti.
In questo documento il sovrano normanno ricorda espressamente l’antica chiesa ed altresì menziona gli altri proprietari nei dintorni, confermando già da allora la presenza stabile di popolazione nella vallata di Mili.
L’importanza della vallata di Mili è evidenziata dall’abbazia di Santa Maria
Il documento ruggeriano testimonia quindi la presenza già di un nucleo abitativo che aveva come riferimento l’antico cenobio. Il Gran Conte, completata la nuova chiesa nel dicembre 1091, concederà ai monaci un ampio territorio che dalla vallata di Mili giungerà fino a quella di Larderia.
Nella stessa abbazia Ruggero nel settembre del 1092, come segno di particola attenzione e rilevanza dei luoghi, farà seppellire il suo figlio illegittimo Giordano, Conte di Noto, Sclafani e Caltanissetta, morto in battaglia a Siracusa.
Il primo abate del monastero di Santa Maria fu un certo Michele, menzionato nello stesso documento ruggeriano, che avrà, come i suoi successori, piena giurisdizione civile ed ecclesiastica, godendo altresì del diritto di possesso e della servitù degli autoctoni e di non essere sottoposto all’autorità dell’Arcivescovo di Messina ma dipendere direttamente dal sovrano di Sicilia. Istituito nel 1131 l’Archimandritato del SS. Salvatore, a guida di tutti i monasteri bizantini di Sicilia e Calabria, Santa Maria di Mili rimase ancora indipendente con le regole del suo typikòn ed assoggettata solo alla corona normanna.
A partire dalla prima metà del XV secolo all’abate furono attribuiti anche il titolo ed il privilegio di Barone di Mili. Tale prerogativa è confermata anche dal Visitatore Regio Don Giovanni Angelo De Ciocchis che nel settembre del 1742 si recò in questi luoghi sottolineando come l’abate di Santa Maria godeva del titolo di Barone di Mili con la podestà di nominare gli stessi funzionari e detenendo il diritto di sedere al XXVII seggio del Parlamento di Sicilia.
Già nel XV secolo l’abitato di Mili si distingueva in due precise località, a monte ed a valle del centro monastico, denominati in antico Mili Soprano o Superiore e Mili Sottano o Inferiore per poi caratterizzarli toponomasticamente, ma solo nel secolo scorso, con i rispettivi patronati divenendo così Mili San Pietro e Mili San Marco. Bisogna anche precisare che storicamente alla vallata di Mili apparteneva anche il più remoto abitato di Tipoldo anche se, dal 1964 con la costruzione di una nuova strada carrozzabile, il villaggio oggi risulta geograficamente più legato al bacino di Larderia. In età moderna nasceranno poi sul litorale gli abitati di Mili Marina e Mili Moleti ove confluiranno parte degli abitanti dei villaggi montani rendendo questi nuovi centri, come tutte le marine, luoghi con più alta densità abitativa.
L’ultimo abate, monaco regolare del monastero di Mili, fu Onofrio Cirino, eletto nel 1461 ed appartenente a nobile ed antica famiglia feudale messinese. Per circa quattro secoli il signore di Mili veniva eletto tra i monaci che abitavano stabilmente questi luoghi ma a partire dal 1478 la gestione dell’abbazia e dell’intera vallata passò, per volontà regia, a vari e prestigiosi abati commendatari che si avvicenderanno possibilmente anche senza mai visitare i luoghi di cui erano guida temporale.
Il primo ad essere nominato fu Alfonso d’Aragona, figlio di Ferdinando il Cattolico, elevato a questa dignità da Papa Sisto IV. A seguire saranno nominati nel 1480 Paolo Camuglia, nel 1482 Leonzio da Clementia, nel 1490 il benedettino Pietro da Cardona, intorno al 1511 il cardinale spagnolo Francisco de Remolins, nel 1518 il Protonotaro del Regno Aloisio Sanchez, nel 1520 il catalano Giovanni da Cardona ed infine nel 1530 il medico aragonese Domenico Adamo da Forz. Lo storiografo Vito Amico ricordava invece che Mili, diviso nelle due storiche frazioni, solo dal 1490 fu assoggetta ad un abate commendatario.
Dal XVI secolo questo territorio passa nelle competenze del Grand’Ospedale
Comunque, essendo abate commendatario Domenico Adamo per volontà di Carlo V d’Asburgo l’abbazia e la terra di Mili passarono alle dipendenze dell’Ospedale del Signor Angelo. Questo nosocomio, che era stato fondato a Messina nel 1347 del nobile Angelo Grande nei pressi del torrente Boccetta, ebbe ufficialmente in dotazione il feudo di Mili solo dopo l’emissione di un privilegio imperiale del 22 agosto 1541, dopo che Carlo V ebbe avuto l’autorizzazione di Papa Paolo III.
Ma a distanza di appena un anno, nel 1542 l’abbazia e la vallata di Mili con i suoi abitati passò al novello ospedale di Messina, il Grande Ospedale Santa Maria della Pietà, eretto proprio in quell’anno per volontà del Vicerè Ferrante Gonzaga e nato dall’unione dei sette antichi ospedali della Città di Messina.
Gli antichi nosocomi portavano in dote al Grand’Ospedale tutte le proprietà, feudi e censi. Da questo momento i signori della terra di Mili furono i confrati dell’Ospedale che governavano questa insigne istituzione. Il collegio che reggeva il Grande Ospedale era composto da ben tredici confrati nobili, compresi per diritto il Vicerè e l’Arcivescovo del tempo.
Gli undici componenti ordinari venivano eletti a vita tra le famiglie più prestigiose di Messina, tanto da essere uno dei più importanti segni di nobiltà per la Città dello Stretto. Nelle solennità i Confrati dell’Ospedale vestivano un lungo manto di seta bianca, legato al petto da due cordoni a grossi fiocchi, molto simile a quello dei Cavalieri di San Giacomo della Spada, con al petto un pellicano che si squarcia il petto per nutrire la prole, simbolo di Cristo e dello stesso Grande Ospedale.
A partire dal 1599 la vallata di Mili entrava a far parte del territorio dell’Archimandritato del SS. Salvatore di Messina in quanto con l’avvento l’Archimandrita Felice Novello i monaci di rito bizantino diminuirono drasticamente.
Nel Seicento Mili Superiore e Mili Inferiori passarono ai Palermo ed ai Brunaccini
Dopo la rivolta antispagnola nel 1685 i due casali di Mili, come altri villaggi messinesi, furono venduti dal Vicerè Francisco de Benavides Conte di Santo Stefano, passando alle famiglie messinesi dei Palermo e dei Brunaccini. Il modicano Tommaso Palermo, Barone di Castelluccio, aveva acquistato da Giuseppe Stancanella, che ha sua volta ne aveva preso possesso dalla Regia Corte il 12 marzo 1686, le terre e le baronie di Santo Stefano Medio, Santa Margherita, Galati e Mili.
Il figlio Giovanni Palermo ottenne successivamente, con privilegio di Filippo V, la concessione del titolo di Principe di Santo Stefano o Santa Margherita. Giacomo Brunaccini, Principe di San Teodoro, invece acquistò la sola la terra e la baronia di Mili da Giovanni Palermo nel 1709. Solo nel 1727 il Casale di Mili venne restituito all’Ospedale della Città di Messina, lasciando mantenere il solo titolo nobiliare alla famiglia messinese.
Nel 1812 con l’abolizione della feudalità, con l’eliminazione del Collegio dei Confrati dell’Ospedale nel 1837 e la costituzione di una semplice Deputazione, composta da tre cittadini nominati dal governo del tempo, ed infine con le leggi eversive del 1866, l’ampio feudo dell’abbazia di Mili fu diviso tra vari privati che acquistarono anche lo stesso monastero, mentre la chiesa rimase di pertinenza del Demanio dello Stato rientrando nei beni del Fondo per il Culto.
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