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~ La pesca e i pescatori dello Stretto di Messina ⚓🇧🇹

Lo Stretto di Messina è un luogo unico al mondo in cui miti, leggende, usanze e superstizioni hanno permesso lo sviluppo dell’arte.

Pittori, scrittori, poeti, scienziati si sono cimentati a scoprire i misteri dello Stretto, la sua natura affascinante e drammatica con le sue correnti, i vortici, i venti, le acque profonde, i mostri marini, la magia dei miraggi …

Un luogo, lo Stretto, dove nasce ogni giorno un “POEMA”.

Lo Stretto di Messina si estende da Capo Peloro/Scilla a Capo Scaletta – Punta Pellaro secondo il Portolano; altri indicano Capo Peloro/Scilla e Capo S.Andrea/ Capo D’Armi.

Gli abitanti della riviera messinese dicono erroneamente che lo stretto di Messina va da Capo Peloro/Scilla a S. Ranieri; infatti subito dopo la penisola della zona falcata, la Riviera sud viene denominata “Maregrosso” (Marirossu).

Lo stretto ha una forma a imbuto sezionato in longitudine con fondali da oltre 1.000 metri nella parte larga, a metri 72 in località Ganzirri – Punta Pezzo. Per queste ragioni e per ragioni astronomiche, si manifestano correnti di marea con inversioni di scorrimento ogni sei ore circa quando ci sono le sigize (allineamento della luna con la terra e il sole), mentre durante le quadrature (la fase di quadratura coincide con il primo quarto e l’ultimo quarto di luna, quando cioè la percentuale di superficie illuminata è il 50%.) la corrente scendente dura di più della montante, perché viene rinforzata da altre correnti (correnti di inerzia, di gradiente, di deriva) che portano una massa d’acqua ricca di sostanze nutritive che fanno di questo braccio di mare “un’oasi tra due deserti” (Berdar, Costa e altri).

Quando la corrente da Sud /Jonio procede verso nord /Tirreno, prende nome di “montante” (muntanti), dal senso opposto viene detta “scendente” (scinnènti).

Le acque della corrente montante sono più dense e pesanti e arano il fondo trasportando numerosi organismi, persino pesci batifili (abissali) e sembra che con la montante, il cielo sia più chiaro.

I venti nello stretto non mancano mai fra i quali lo scirocco. Un vecchio adagio messinese recita: “ A Messina tre cose non mancano mai: “malanova, sciroccu e piscistòccu”, anche se il maestrale è più frequente. Curioso è sapere che con il Grecale la corrente scendente aumenta di forza, mentre lo scirocco raddoppia di forza con la montante. Tutti possono ammirare, dalla passeggiata a Torre Faro “sutta ‘u piluni”, lo spettacolo affascinante delle correnti che s’incontrano creando sulla superficie quei fenomeni come i “sorgimenti d’acqua o macchie oleose, i “vortici” o “garoffuli”, i “refuli”, le controcorrenti o “bastaddi” e “ù tagghiu”; è chiaro che questi fenomeni sono intensi durante le sigize, sono attenuati durante le quadrature.

I nostri pescatori sono metereologi preparatissimi, non hanno strumenti né satelliti, ma con l’empirica esperienza di osservare i segni della natura, vuoi che siano nubi o uccelli, correnti o animali domestici, azzeccano sempre il tempo atmosferico.

Ecco di seguito alcuni esempi: se in Aspromonte emergono nuvole bianche, siate certi che lo scirocco arriverà presto; infatti quelle nubi vengono chiamate “Summàturi i sciroccu”.

Se dalla Calabria, sopra Tropea, si scorgono cumuli con lampi e tuoni, i ganzirroti li chiamano “Thruènri d’acqua”.

“I Capiddhi i mavara” sono quelle nubi filiformi, ondulate graziosamente; ebbene quelle nubi sono apportatrici di scirocco. La burrasca di scirocco viene preannunciata dalla tipica nube squaliforme sullo stretto nel senso della sua lunghezza e viene chiamata appunto “ Ù piscicani ntô canali”; quando invece lo scirocco è leggero i vecchi lo definivano “u sciroccu maiàticu. Alcuni pescatori della riviera preannunciano lo scirocco quando le luci di Villa S. Giovanni tremolano ( pappagghìunu”) o si ode il fischio del treno o delle campane della chiesa della Madonna delle Grazie (Pezzo). “ A cammària di sciroccu” è foriera di maltempo anche se quel giorno è splendido e soleggiato. Altri tempi meteorologici previsti: il libeccio con le “limature” all’altezza di Palmi, chiamato pure “Baruni dù tempu i fora” se sono osservate da Torre Faro .

I nostri pescatori sono in grado di prevedere il tempo osservando la spiaggia: se il bagnasciuga è ciottoloso o ghiaioso è in arrivo la Tramontana o il Maestrale, se invece è sabbioso arriverà lo scirocco di Levante, se invece “ù mari si cucìu cà marina” nel mese di gennaio, state pur certi che farà abbastanza freddo.

Alcuni detti divertenti e, se ci fate caso abbastanza veritieri, sono:

“…Punenti e libìci mai beni fici”.

“Buriàna o Trupiàna gran figghiàzzi di….”

Cuta i rattu à Tramuntana, Sciroccu chiama”.

“Celu à picurinu o Sciroccu o Livantinu”.

“Tramuntana o un ghionnu o na simàna”.

“Gricali, ventu cavaleri, si ‘nnaca vulìnteri”.

“Libbìciata, amara ‘da bacca chì non veni n’chianata”.

E poi i proverbi che ancora oggi si recitano, perché ascoltati dai nonni:

“A bunazza non c’è mai senza tempesta”.

“Si marzu nun mazzìa, giugnu pinja”.

“ Sant’Antoniu la gran friddura, San Lorenzu la gran calùra, l’una e l’autra picca dura”.

“Si chiovi pi Santa Bibiana, chiovi pi quaranta ionna e na simana”.

C’è tanto da dire con i detti dei vecchi marinai e la nostra ricerca continua con i proverbi dei pescatori inerenti alle previsioni del tempo e della pesca:

Quannu u pisci franci, ù piscaturi cianci (franci=affiora).

“U pruppu ì innaru inchi ù panaru.” Il polpo a gennaio è grosso.

“Cù scinnenti pisci nenti, cù muntanti pisci tanti”.

“Nnata d’aliddi ‘nnata ì custaddeddi” (aliddi=velelle è una specie planctonica appartenente al phylum Cnidaria, alla classe degli IDROZOI ed all’ordine delle ANTHOMEDUSAE ).

A seppia: “a mazzu m’affacciu, aprili mi vidi, a maju o mi pigghi o mi nnì vaiu”

La pesca nello stretto 🎣

Lo Stretto di Messina è sempre stato sfruttato nella pesca già in epoca preistorica.

Sono stati trovati nelle dune di Ganzirri resti di pasti di molluschi bivalve e ossa di tonno. Persino la pesca del pesce spada è nota sin dal periodo classico: Strabone e Polibio ne parlavano nelle loro cronache.

Oltre al pescespada, la tradizione gastronomica ittica locale si indirizza in particolare alle costardelle, cicirella, triglie, naselli, alalunga, mennole, saraghi,
tonno, pesce sciabola (spatola) sciabacheddu.

Naturalmente a Messina va molto forte “ù piscistoccu à ghiotta” , ma anche altri pesci sono nell’uso popolare come recitano alcuni noti proverbi:

“opa di marzu sadda d’aprili”, “sappa e murina tempu da racina aresta” (aresta=acerba), “ ù pisantuni ti fa veniri ù matruni” (matruni= mal di pancia).

Simpatico e saggio il proverbio: “ Fimmina di tilaru, jaddina di puddharu, trigghia di jannaru”.

Si potrebbe continuare ancora andando a ricercare i proverbi antichi dai pescatori più vecchi, ma il tempo è tiranno e abbiamo ancora qualche argomento da trattare.

La devozione dei pescatori ai Santi protettori. 🙏🏻

I marinai messinesi sono devoti in prevalenza alla Vergine Maria, a San Francesco di Paola e a San Nicola; le loro chiese, tranne qualche eccezione, sono visibili dal mare.

I pescatori credono in modo radicale al proprio Santo patrono che per devozione, scaramanzia, ringraziamento offrono al loro protettore ex voto d’oro o d’argento di notevole fattura.

Ricordiamo il “Vascelluzzo” conservato presso la Chiesa dei Marinai,bil pesce sciabola nella Chiesa di S.Francesco di Paola (Ringo), La costardella, il tonno, il pesce spada d’oro presso la Chiesa di S.Nicola in Ganzirri.

A Ganzirri la devozione a S. Nicola è intensa. Il 6 dicembre è una festa molto sentita da tutta la popolazione che affolla le tre Messe solenni del giorno. E’ atteso con trepidazione il momento della distribuzione dei “panùzzi di S. Nicola”, piccole palline di pane benedetto che i pescatori portano con loro a bordo delle barche, perché, in caso di pericolo, li gettano in mare nella speranza di raggiungere la salvezza a riva o che il mare si calmi.

Le donne dei pescatori, ieri come oggi, aspettano con ansia il ritorno dei loro uomini e se imperversa il maltempo, recitano questa preghiera:

“Signuruzzu mei, faciti bon tempu

C’è mè maritu in menzu à lù mari,

tri vili d’oru e ‘ntinni d’aggentu!

La Madunnuzza mi l’avi jiutari.

Chi putissi ‘rrùvari in sabbamentu

E comu ‘rriva nà littra m’avi à fari!

Chì javi à mettiri du duci palori,

comu s’â passau mari, mari.”

I mestieri. 🐟

I pescatori (ormai pochi) che possiedono una barca (oggi tantissimi diportisti e dilettanti) le armano con i mestieri. Quello più usato è “ ù baddazzuni” per pescare ope, mennole, sappe, acciughe e sarde durante il giorno; “ ‘Ù pisci bonu” si pesca con la “bulisthricara” una rete da fondo con maglie più larghe che si posiziona la sera e si “masa ad albore” del giorno dopo per catturare scorfani, saraghi, pauri, cernie, orate, fagiani e quant’altro di buono stuzzicano il nostro palato.

Ù Baddazzuni 🛶

I pescatori, al mattino presto, varano le loro barche pronte già la sera prima con il baddazzuni masato a poppa. Il capobarca si posiziona al timone, mentre l’equipaggio rassetta la barca, fuma o chiacchiera. Arrivati nei luoghi della “cala”, posti che il capobarca ha imparato dai genitori e che si tramandano di padre in figlio, aspetta che la “rema sia buona“ poi, con calma e gesti che i suoi uomini conoscono, dà l’avvio alla “cala”: si posiziona la rete in modo tale che la “fonte” sia bella gonfia e in attesa degli argentei pesci. Il pescatore di prua prende la mazzera di “Buddhiamentu” e la getta in mare per “stringere” i pesci verso la rete.”

LA RAVASTINA 🐠

Se c’è una pesca divertente e in cui, giovani e meno giovani facevano a gara per imbarcarsi sulla barca davanti o su quella “d’arreti”, era la pesca alle costardelle con la “ravastina”. Nella barca principale (barca a motore) andavano le persone più esperte mentre nella barca più piccola, trascinata dietro con una fune, andavano le persone più anziane con i ragazzi alle prime esperienze. Gli anziani trasmettevano ai giovani le loro conoscenze e li mettevano alla prova nel tenere tesa la parte di rete che serviva come un grande imbuto nello stringere il pescato che, almeno qualche decennio fa, in estate era talmente abbondante che le costardelle venivano vendute già nelle barche e dai rigattieri, negli angoli delle strade, dei villaggi e della città a pochi spiccioli. Altri tempi e altri lupi di mare.

L’INCANNIZZATA 🦀

Una pesca estiva ed entusiasmante era, usiamo il passato perché questa pesca non viene quasi più effettuata, la cattura dei cefali di mare. La rete era formata con canne che veniva posizionata, galleggiante, su un tratto di mare dove boccheggiavano i muggini, poi si “buddhiava” e cominciava lo spettacolo dei pesci che, saltando per sfuggire alla rete di fondo, venivano catturati dall’incannata-

La pesca con le nasse 🐙

E’ una pesca particolare e mirata alla cattura di determinati prodotti ittici. La nassa è una specie di gabbia di vimini costruita artigianalmente dai pescatori stessi. Arte che oggi non viene quasi più praticata anche perchè sono più utilizzate le nasse industriali più economiche, ma meno resistenti a discapito delle belle realizzazioni che si possono ammirare presso l’ultimo nassarolo sig. Pippo Arena. Con le nasse si catturano : aragoste, astici , gamberoni, scampi, seppie, ronghi, murene e malcapitati pesci pregiati.

Riti e liturgie ✝️

Della processione di S.Nicola si hanno notizie anche in “Messina la nobile” di Alexandre Dumas 1835: “Il capitano mi offri di andare a vedere la festa della cassa di S.Nicola… verso le tre, la cassa di S.Nicola uscì dalla chiesa dove era stata racchiusa; subito le danze cessarono; ognuno accorse e prese posto nel corteo, e la processione cominciò a fare il giro del lago, accompagnata dai botti ininterrotti di un migliaio di mortaretti. Questa nuova occupazione durò circa un’ora e mezza, poi la cassa rientrò in chiesa con i preti e la folla si sparpagliò nuovamente sulle rive del lago.. ”

(da Ganzirri.it)

Pescatori e superstizioni 🌶

Oltre alla devozione ai Santi, i pescatori come tutti gli uomini sono superstiziosi e fra preghiere e rituali compiono dei gesti che hanno pochissimo di cristiano e molto più di paganesimo.

Quando il mastro d’ascia consegna una nuova barca al padrone, questi, dopo averla fatta benedire dal sacerdote cattolico, fra preghiere e frasi di buono augurio, degustazioni di pasticcini innaffiati da generose porzioni di vermuth e, naturalmente dopo aver licenziato il buon prete, invita una verginella a fare la pipi’ sulla prua come battesimo beneaugurante della novella barca.

Spesso i vecchi pescatori dopo un paio di “cale” infruttuose solevano prendere del comune sale da cucina e acqua potabile e aspergere il mare con delle preghiere mormorate. Quando invece in una cala prendevano un pesciolino insignificante, erano contenti lo stesso perché dicevano: “Ficimu sangu”!

I pescatori di pesce spada per propiziare la pesca, bruciavano a prua una croce di giunchi recitando qualche Ave Maria e Pater Nostro. Quando il lanciatore catturava il pesce spada e lo issava a bordo, con le unghie praticava una croce scaramantica.

La superstizione dei marinai e dei loro familiari è notoria, tanto da considerare “malocchio” lo strappo della rete, la perdita di un pesce grosso, il non fare “sangu”.

Questi fenomeni li portavano a rivolgersi ai mavari, cialtroni e ciarlatani da quattro soldi, che ubriacavano di fesserie i creduloni i quali facevano “ sbummicari” la barca e la casa e possibilmente compravano a caro prezzo ninnoli porta fortuna e oggetti di contro mavaria. Non è raro, a detta dei vecchi pescatori, trovare nelle vicinanze o dentro la barca occultati sapientemente, limoni pieni di spilli, feticci impiccati e corde piene di nodi. Un’usanza ancora oggi in uso tra gli equipaggi delle feluche, è quella di sbummicari il natante raccogliendo in una latta pezzi di indumenti dei marinai e dargli fuoco con della nafta e passare in processione ogni angolo della barca. Spesso i pescatori facevano “pisciare” le reti da pesca da bambini per scaramanzia. Un’altra pratica pagana, anche se ammantata di cristianità, è il taglio da “cuta i rattu” dove i pescatori innalzano una preghiera con un coltello in mano che recita:

<< A nomi du Patri e du Figghiu e du spirutu Santu

À scienza di lù patri e à scienza di lu Figghiu

E vittù di lù Spirutu Santu

Tagghia sta cuta

Chi hai à lù cantu.

Santu Nicola nun dommiri

Chi jò trì niuli vidu veniri

Una d’acqua ed una di ventu

e una di gran futtuna. (tempesta)

Vattinni a ddhì patti sthramani (stamani)

Unni nun canta non jaddu e non jaddini

A ddì funnara chi nun c’è cuddhuri (pane)

Unni non si trova arma cristiana battiata (arma=anima)

E stà trumma sia tagghiata e pì lù nnomu di Maria

Stà cuta tagghiata sia>>.

Durante l’orazione il pescatore, con il coltello, fa il segno della croce e il gesto di tagliare la tromba stessa. Questa preghiera veniva tramandata la notte di Natale da padre in figlio.

Giovambattista Freni


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