LA MEMORIA RUBATA
L’ARCHEOLOGIA A MESSINA SEPOLTA DALL’EDILIZIA PALAZZINARA…E NON SOLO
Omaggio a Giacomo Scibona
Uno dei problemi più importanti di Messina, ma finora tenuto in nessuna o scarsissima considerazione, è quello della tutela e conservazione delle decine e decine di aree archeologiche riportate alla luce nel corso di lavori di sbancamento, alle volte non studiate perché spesso occultate dai privati al fine di evitare sospensioni dei lavori da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali, e, nella migliore delle ipotesi, studiate, documentate e poi definitivamente ricoperte da un’eterna coltre di cemento. Questa breve rassegna, lungi dall’essere esaustiva, vuole documentare alcuni casi eclatanti che rappresentano i “Mali Culturali” della città, cioè importanti rinvenimenti archeologici che potevano benissimo restare “in situ” prevedendo varianti ai progetti di edificazione o apposite aree libere di pertinenza. Ma anche altrettanto importanti rinvenimenti archeologici che, conservati “in situ”, sono oggi inaccessibili alla pubblica fruizione e a i turisti.
Tra il 1965 e il 1975 il gruppo archeologico “Codreanu”, successivamente confluito nell’associazione “Amici del Museo di Messina”, recuperò oltre cinquanta ritrovamenti archeologici di cui, il più importante sotto l’aspetto monumentale, fu nel 1971 la Tomba a Camera (IV – II sec. a.C.) di Largo Avignone sotto la scalinata che conduce alla Caserma “Zuccarello” in via Cesare Battisti. Il significativo sito culturale fu aperto e tornò a nuova vita nel 2017 grazie all’azione sinergica del Comune con la Soprintendenza ai Beni Culturali e il contributo del Lions Club “Messina Host”. DA ALLORA, CHIUSO ALLE VISITE, È SPROFONDATO NUOVAMENTE NELL’OBLIO.
E sempre l’associazione “Amici del Museo di Messina” scoprì, nel 1987, un villaggio della tarda Età del Bronzo prima Età del Ferro (1200 a.C.) a Monte Ciccia sui Colli Sarrizzo.
Nel novembre del 1989, nell’area dell’ex giardino del Palazzo di Giustizia prospiciente la via Nicola Fabrizi, lavori di ampliamento portarono alla luce una splendida fornace medievale (poi recuperata e trasportata al Museo Regionale) e brani di abitazioni tardo romane del III-IV sec. d.C. e dell’età imperiale del I-II sec. d.C. Reperti la cui permanenza poteva restare in maniera da conciliare gli interessi della cultura con la necessaria realizzazione del nuovo edificio giudiziario interrato, invece, venne tutto distrutto. Una tendenza antica, quella di anteporre ai sacrosanti interessi della cultura altri interessi, certamente più prosaici e meno edificanti se si pensa che già nel lontano 1914, il grande archeologo Paolo Orsi portò alla luce una vasta ed importante necropoli romana di rarissima tipologia, detta di S. Placido, utilizzata fino al II-III secolo d.C. e definitivamente seppellita sotto il cemento armato del palazzo della Prefettura.
Sorte non migliore ebbe la “Villa Melania” a Pistunina, vasto complesso insediativo di età imperiale romana e bizantina inesorabilmente raso al suolo nel 1991. Giacomo Scibona, uno dei grandi archeologi messinesi prematuramente scomparso il 16 gennaio 2009, protagonista dell’archeologia a Messina dagli anni 60 al 2000, la considerò: “[…] la scoperta archeologica più significativa e di maggiore consistenza fra le tante che, nel passato e ai giorni nostri, hanno finora riguardato l’area peloritana”. La villa romana del IV secolo d.C. era denominata Melania perché ad essa apparteneva e al marito, il senatore romano Piniano.
Da qui, il letterato Rufino di Aquileia assistette all’incendio di Reggio compiuto dalle orde di Alarico poco dopo la presa di Roma del 15 agosto 410.
Il prof. Scibona, tra le tantissime campagne di scavo archeologico da lui condotte a Messina, nella sua provincia ed in altre province siciliane, portò al rinvenimento di cospicue testimonianze della Messina arcaica ed ellenistica nell’area dell’isolato 224 (oggi albergo Royal), dell’isolato 195, dell’isolato 146 (ex cinema Trinacria) tutte inesorabilmente distrutte, dopo lo studio e la documentazione, per far posto a scatoloni in cemento armato. Soltanto un muro greco di fortificazione lungo 25 metri in via Santa Marta, rinvenuto durante i lavori di un cantiere edilizio nel 1988 e studiato da Giacomo Scibona, è stato conservato in sito sotto il nuovo fabbricato ma a tutt’oggi di difficile fruizione.
Il paradosso, poi, si raggiunse nel grande scavo del “Palazzo della Cultura” al Boccetta dal gennaio all’agosto 1982: una sorprendente sequenza archeologica portata alla luce da Scibona con la Soprintendenza ai Beni Culturali di Messina, che andava da un’enorme necropoli romano-imperiale del I sec. a.C. a tutto il II-(III) d.C. (228 sepolture) ad una del Bronzo Antico (3300-2000 a.C.) con 20 inumazioni contenute entro grossi pithoi (grandi giare per immagazzinamento) e quelle per bambini entro olle (recipienti di terracotta destinati per lo più alla cottura o alla conservazione dei cibi), venne alla fine soppressa da un bruttissimo palazzo che avrebbe dovuto, ironia della sorte, produrre e promuovere proprio la cultura!
Durante gli scavi effettuati dal 1991 al 1997 in via Cesare Battisti prima di Largo Avignone, emerse una necropoli col rinvenimento di 6 tombe a cappuccina con corredi funerari (IV sec. a.C. – V sec. d.C.), sepolture che furono smontate e trasferite nei depositi della Soprintendenza ai Beni Culturali.
Nel 2012, per la costruzione del complesso residenziale “Granai” a Gazzi, durante lo scavo di sbancamento per le fondazioni venne portata alla luce una rara sepoltura a Tholos dell’età del Bronzo: ad oggi non si conosce quale sia stata la sua sorte.
Una delle pochissime testimonianze archeologiche rimaste in sito è oggi costituita dall’abitato medievale e moderno (XIII-XIX secolo) e complesso romano dal I-II secolo al IV secolo nel cortile interno di Palazzo Zanca, che Scibona portò alla luce a partire dal 1976 insieme all’infaticabile e competente archeologo della Soprintendenza messinese, Gabriella Tigano. Annesso agli scavi, il piccolo Antiquarium che espone i più significativi reperti rinvenuti, unica realtà museale archeologica a Messina con un catalogo bilingue redatto da Tony Malatino.
Che andrebbe dal Comune intestato, quale atto dovuto anche se tardivo, al messinese Giacomo Scibona, uno dei suoi figli più illustri e presto dimenticato dalle istituzioni.
Nino Principato
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“Soltanto un muro greco di fortificazione lungo 25 metri in via Santa Marta, rinvenuto durante i lavori di un cantiere edilizio nel 1988 e studiato da Giacomo Scibona, è stato conservato in sito sotto il nuovo fabbricato ma a tutt’oggi di difficile fruizione”. Bene, che sia “di difficile fruizione” ho i miei dubbi, perché a cura e spese della Società di Costruzioni Contrafatto, fu modificato il progetto con l’inserimento di un piano cantinato che consentì la conservazione del Muro greco. Fu realizzato un accesso indipendente, una scalinata sospesa che consentiva la visita del Muro e che portava in una camera adiacente che avrebbe dovuto ospitare bacheche e pannelli a servizio dei ritrovamenti. Il tutto fu realizzato a nostre spese sotto la direzione tecnica del sottoscritto e del compianto Prof. Scibona e consegnato alla Soprintendenza.