LA LENTA AGONIA DEL PALAZZO “DEGLI ELEFANTI” IN VIA PORTA IMPERIALE
Ciò che oggi rimane di questo monumentale fabbricato all’inizio della via Porta Imperiale poco oltre l’incrocio con la Tommaso Cannizzaro, detto “degli elefanti” per le curiose teste del pachiderma ai lati del portale principale d’ingresso e databile della fine del Settecento, è soltanto la parte a piano terra comprendente il portale principale e l’ala destra (quella di sinistra, non più esistente, è occupata dall’edificio conventuale annesso alla chiesa di San Lorenzo, comunemente intesa “del Carmine”). In origine si componeva, oltre che del piano terra e di quello ammezzato, di un piano nobile corrispondente al livello di calpestio del balcone centrale; complessivamente, quindi, considerando il piano ammezzato, tre elevazioni fuori terra.
Dalla porzione di facciata superstite, è possibile ricostruire lo schema compositivo gravitante sul portale centrale, asse-cerniera di simmetria e fulcro di tutta la composizione.
Inquadrata e spazialmente definita da due potenti paraste bugnate d’angolo, essa si distende senza soluzione di continuità in un’alternanza di pieni e di vuoti aventi il medesimo passo modulare, e, la preminenza gerarchica del grande portale d’ingresso, viene sottolineata e allo stesso tempo bilanciata dalle quattro porte architravate bugnate e immediatamente sormontate da altrettante finestre-balconi del piano ammezzato: in questo modo l’altezza del portale maggiore viene a comprendere, esattamente, quella complessiva dell’insieme bottega-magazzino.
In sostanza, la tipologia abitativa che il palazzo presenta è quella quasi codificata in anni di consolidate prassi sociali e costruttive: piano terra occupato da botteghe a conduzione familiare sormontate dai cosiddetti mezzanini, costituenti il piano ammezzato corrispondente alla seconda elevazione fuori terra, di bassa altezza (generalmente metri 2,40) e collegati al piano terra tramite scala interna in legno ad unica rampa (“casa e putia” – casa e bottega); il terzo piano (in questo edificio, non più esistente), è riservato alla classe medio-borghese e per potervi accedere si rende necessario l’inserimento dell’androne con grande apertura ad arco e scala rampante. Le abitazioni di questo piano, non a caso denominato piano nobile, sono più evolute di quelle sottostanti e assumano la denominazione di “quarti” o “quartini”.
Di fronte alla facciata del palazzo, com’è documentato da una rara foto precedente al terremoto del 1908, sorgeva il Grande Ospedale iniziato ad edificare il 12 ottobre 1542 su progetto del bergamasco Antonio Ferramolino (oggi, sulla sua area, sorge il Palazzo di Giustizia) cui successero il messinese Giovanni Carrara, Andrea Calamech da Carrara, Francesco Zaccarella da Narni e Giovanni Maffei da Carrara. E sembra, come afferma Gaetano La Corte Cailler, che l’autore del “Palazzo degli Elefanti” sia stato proprio il Maffei, raffinato architetto che si divertì ad inserire un’interessante e curiosa notazione decorativa: ai lati dell’arco del portale d’ingresso, infatti, spiccano appunto due atipiche teste di elefante, bizzarra reminescenza figurativa dell’arte manierista. Scriveva infatti il La Corte Cailler ne “Il mio Diario”, ristampato a cura e con note di Giovanni Molonia: “2 Febbrajo (Venerdì) [1912] – Gli sgombri in Via del Tirone e Via degli Angeli proseguono alacremente. Dietro il Palazzo rimpetto l’Ospedale, proprietà del Dr. Miceli ma che fu già dei Benedettini della Maddalena (dove abitò lungamente il Prof. Giacomo Macrì) e che presenta bella architettura, con portone decorato da due teste di elefanti (ricordo forse di un proprietario catanese) e che si crede architettura di Nicolò Francesco Maffei, vidi il giardinetto, che presenta ancora dei portici signorili con nicchie, vaschette ecc. Ultimamente, prima del disastro, eran ritirate colà alcune monache.”.
Il bel palazzo consuma la sua lenta agonia nella totale indifferenza di chi dovrebbe fare e non fa, in attesa di un improbabile restauro che mai verrà: “Campa cavallo che l’erba cresce”, anche su questa importante testimonianza del passato di questa sventurata città!
Nino Principato
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