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La chiesa dei Catalani è infatti un luogo metafisico….

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LA CHIESA MARIA SS. ANNUNZIATA DEI CATALANI E LA GEOMETRIA SACRA

“Tutto qui ricorda la sua antica origine pagana e le corse vicende […]”, si legge nella Guida del Municipio “Messina e dintorni” stampata nel 1902, sei anni prima dell’immane disastro.
La chiesa dei Catalani è infatti un luogo metafisico della storia, un’apparizione evocativa di antiche suggestioni – il turrito “Castello a mare”, la darsena, il nitore abbagliante del tempio classico dedicato al dio del mare, il “respiro” marino nell’ansa del porto e la brezza odorosa di salsedine – più che la presenza fisica di una splendida architettura di pietra dove tuniche, sai, cappe e mantelli di uomini pii e timorati di Dio, la Confraternita dei Catalani venuti dalla Spagna al seguito degli aragonesi, si avvicendarono sotto le superbe volte e arcate.
Venne edificata nel periodo che va dal 1150 al 1200 sugli avanzi del tempio di epoca classica dedicato a Nettuno. Denominata anche “Annunziata di Castello a mare” o di “Castellammare” per la sua vicinanza all’omonima fortezza ubicata a guardia dell’insenatura del porto e della darsena, il 4 febbraio 1169 un terremoto ne causò l’arretramento della facciata e il dimezzamento delle sue dimensioni (da 7 a 3 colonne per lato).
Se oggi desideriamo entrare in maniera diversa nella chiesa e cercare quella regola d’oro che presiede alla sua costruzione, dove si fondono bellezza, spirito e armonia, allontaniamo da noi i falsi valori che sono alla base del presunto progresso e della ricerca senza freni dell’edonismo, barriere insormontabili che chiudono la strada della Conoscenza e con gli occhi per vedere e le orecchie per sentire, interroghiamo il Maestro d’Opera senza nome. La prima cosa che ci dirà è che l’Opera non è individuale, non è collettiva, è comunitaria e ad essa concorre tutta la comunità che si edifica come un corpo vivente. Ci dirà che lui dirige questa comunità sia spiritualmente che materialmente, una comunità dove operano tagliatori di pietra, scalpellini, scultori, trasportatori, muratori, carpentieri, fabbri e vetrai, tutti abili nel loro mestiere che, concorrendo all’opera comune, partecipano della manifestazione del Verbo.
Il Maestro ci racconterà che il tempio è a pianta basilicale con tre navate, tre absidi e cupola innestata sul transetto con pennacchi sferici e che è stato da lui progettato col sistema costruttivo più antico, quello “ad quadratum” perché formato sul quadrato e sulle sue derivazioni geometriche. Il quadrato, che secondo il simbolismo alchemico della trasmutazione rappresenta l’Intelligenza (il cerchio è l’Intuizione e il rettangolo è la Mistica), è esistenza terrena, onestà, moralità, integrità, chiarezza. È anche perfezione statica, immutabilità, e, in quanto tale, la totalità di Dio manifesto nella Creazione.
Nella chiesa dei Catalani la pianta forma il “doppio quadrato” e allora il Maestro d’Opera ci spiegherà che tale particolare impianto trae la sua origine nell’esoterismo ebraico dove si ritrova la valenza magica del “doppio quadrato”, quando nel Libro dell’Esodo (39, 8-9), a proposito delle vesti del sommo sacerdote del santuario mobile nel deserto, si legge: “Fecero il pettorale in lavoro artistico, come il lavoro dell’efod: oro, porpora viola, porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto. Era quadrato e lo fecero doppio, lungo una spanna e largo una spanna”. E, ancora, nel santuario mobile nel deserto per custodire l’Arca dell’Alleanza, la tavola della presentazione dei pani era a forma di doppio quadrato; e l’Arca, patto di amicizia di Dio con il popolo di Israele, era una piccola cassa rettangolare con le dimensioni del doppio quadrato; e che nel Tempio di Salomone costruito a partire dal 1027 a.C., il “Santo dei Santi” contenente l’Arca aveva pianta quadrata perché il quadrato significava il primo gradino nel cammino ascensionale di avvicinamento a Dio.
Quando ci fermeremo ad ammirare il portale principale, guarderemo i due capitelli sui quali imposta l’arco a tutto sesto e così scopriremo che quello a sinistra è decorato da foglie d’acanto mentre quello a destra da tre teste umane, e allora, con l’aiuto del Maestro, capiremo che rappresentano i due dei tre regni della Natura, quelli viventi vegetale e animale. Perché il portale costituisce il punto di partenza di un viaggio che proietta in una dimensione atemporale e aspaziale, rappresenta, al tempo stesso, tutto l’edificio e l’universo, la promessa di salvezza (“Io sono la porta, e chi entra attraverso di me sarà salvo”, dice Cristo). È lo stesso Cristo nella sua duplice natura di Uomo e Dio, e, quindi, mediatore fra l’uomo (l’esterno) e il divino (‘interno).
Dentro archi sorretti da esili colonnine nel settore absidale all’esterno, tante stelle ad otto punte in conci bicromi, pomice lavica nera e gialla pietra calcarea, ci parlano del sacro numero otto come somma di tre numeri: 4 (il corpo-Materia), 3 (l’anima-Trinità), 1 (il divino-Unità). Triangoli equilateri simbolo della Trinità stanno alla base della decorazione a losanghe seghettate delle finestre a conci nelle pareti esterne.
E quando saremo dentro e il Maestro d’Opera ci inviterà a guardare verso l’alto allora vedremo, e vedremo la fantastica cupola a sottilissimi mattoni. La cupola che nell’architettura sacra simboleggia la conoscenza trascendentale, perché vi è realizzata la “quadratura del cerchio”, l’inserimento del quadrato in un cerchio che trasforma la volta celeste (il cerchio, la spiritualità) nel quadrato della terra e viceversa, unendone misticamente i quattro elementi dei pennacchi triangolari (fuoco, terra, aria, acqua).
La “quadratura del cerchio” testimonia, quindi, della lenta maturazione del neofita che nel suo cammino iniziatico passava, dall’interesse per le cose terrene, a quello per le cose divine.
Quadrato, cerchio, triangolo, la geometria sacra che nelle mani del Maestro d’Opera è diventata materia vivente, materia che anela allo Spirito e, quindi, a Dio.

Nino Principato


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Alessandro Sidoti

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Alessandro Sidoti

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