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I venti sono sempre stati protagonisti della vita Siciliana, dal vento dipendeva la vita dei……

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Il nome dei venti siciliani….
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I venti sono stati sempre protagonisti della vita siciliana , dal vento dipendeva la vita di contadini e pescatori , quindi non stupisce il fatto che venissero onorati e temuti come Dei, d’altronde lo stesso Eolo, Dio dei venti risiedeva in Sicilia .

Figlio di Poseidone ed Arne e ricevette da Zeus il compito di controllare i venti.
Eolo li dirigeva e li liberava o li chiudeva dentro le caverne e dentro un’otre a Lipari, in cui aveva la sua splendida reggia, e da lui l’arcipelago prendeva il nome.

I venti, erano ritenuti rei di aver provocato il distaccamento della Sicilia del continente, delle varie bufere e tempeste sul mare, dovevano essere costantemente controllati dalla divinità.

Nella mitologia greca cinque fratelli erano i venti principali, ovvero i Genii ad essi preposti:

Austro, vento del sud, caldissimo e umido, portatore di pioggia, raffigurato sempre bagnato.

Borea, il più violento, vento del nord molto freddo, che per amore delle cavalle di Dardano si trasformò in cavallo e generò dodici puledri veloci come il vento. Era considerato come il soffio stesso di Zeus, è un vento impetuoso che spira dal nord con grande forza, particolarmente venerato dagli Ateniesi, convinti che avesse provveduto, con un tremendo uragano, a sgominare la flotta di Serse, il re persiano che minacciava la Grecia con una colossale spedizione.

Euro, vento dell’est, a volte tempestoso e a volte asciutto che portava bel tempo, e che i Romani chiamavano Vulturno.(oggi è pure la nostra moneta)

Zefiro, vento dell’ovest, dolce e benefico, che aveva generato Xanto e Balio, ossia i due cavalli di Achille, chiamato dai Romani Favonio, è particolarmente gradito perché annuncia la primavera e la bella stagione, favorendo la germinazione delle sementi e la ripresa della natura dal sonno invernale.

Noto, l’umido vento del sud, porta le piogge e rende difficoltosa la navigazione in certi periodi dell’anno.

Oggi giorno i venti che predominano in Sicilia sono il Maestrale e lo Scirocco , di frequente soffiano Libeccio in primavera e in autunno e inverno i venti di Tramontana, portando a crolli improvvisi delle temperature.
Lo Scirocco soffia da sud- est, quindi dalle regioni della Libia occidentale e dell’Egitto, ed è presente prevalentemente tra la primavera e l’estate, quando portando ondate di caldo torrido e il pulviscolo dei deserti Nordafricani che arrossa il cielo.
Lo scirocco prende il nome dalla Siria, la direzione da cui spira il vento, prendendo come punto di riferimento l’Isola di Zante nel Mar Ionio, dove secondo tradizione va posizionata la rosa dei venti.

Ma in Sicilia il vento non può avere così pochi nomi perchè la nostra isola è un piccolo continente con catene montuose e vulcani che cambiano la natura e la direzione dei venti , così come cambia la toponomica dei venti in funzione dei luoghi e degli abitanti.

Esistono quindi almeno 50 venti diversi che soffiano nella nostra terra , nomi che si dispiegano sempre all’interno di un raggio territoriale relativamente breve e, infatti, quando vengono superati i confini intraprovinciali, la distanza non supera in genere quella compresa tra due province contigue.
In pochi altri casi l’ampliamento del raggio sembra dipendere dalla rilevanza (ecologica o socioculturale) della comunità sorgente: l’Etna, il capoluogo di regione, la Provenza.
Solo in questi casi il toponimo del vento appare sensibile alla lunga distanza.
Citiamo per esempio il ggiurgintanu, il marinu , il mincipuḍḍisi .

Esistono poi i venti ascendenti o discendenti come “ la puìa “ che spira in direzione montagna.
O il temibile mazzamareḍḍu› cioè il ‘colpo di vento improvviso durante un temporale, nome che sta anche ad indicare il significato di ‘incubo’ e quello di ‘nome del diavolo e specialmente del diavolo del turbine’.

I nomi ḍḍaunara, ḍḍṛaunara,,ṭṛaunara, ṭṛavunara, ḍḍṛaunera e ṭṛaunera, tutti derivati dal grecismo lat. dracone(m) ‘serpente, drago’, indicano alcuni fenomeni pericolosi e paurosi della natura, come il ciclone, l’uragano, la tromba marina, la tempesta, la tromba d’aria, il mulinello di vento, il corso d’acqua in piena, un forte acquazzone ecc., fino a indicare, in alcuni centri del Messinese, una voragine, una profonda spaccatura nel terreno.
Direttamente da draco deriva ṭṛa(v)u nelle locuzioni ṭṛau d’acqua, che designa la pioggia improvvisa, violenta e di brevissima durata, ṭṛavu di focu, lett. ‘drago di fuoco’, che indica la meteora.


C’è un vento che ha un nome che richiama il periodo in cui gli arabi erano presenti, si chiama RAS EL MEIT che significa la testa del morto ( direzione in cui venivano posti i cadaveri con il viso rivolto alla Mecca)

I fenomeni naturali pericolosi, ovviamente dannosi per le colture (come quelli compresi sotto il nome di mazzamareḍḍu), proprio perché paurosi, sono incubo da esorcizzare.
Per questo a Sclàfani Bagni , piccolo centro del palermitano tra le forme rituali non istituzionalizzate, vi era la “denunzia del vento” da parte di alcune donne del paese quando esso infuriava pericolosamente.
Con grida e lamenti si recavano in chiesa, ed il parroco faceva suonare le campane, per farlo cessare.

Si conoscono bene le formule e le orazioni pronunciate dai contadini nel tagghiari a timpesta ricorrevano frequenti riferimenti a Santa Barbara (Santa Bbàrbara ca lampìa / Santa Bbàrbara ca ṭṛunìa), mentre la “calamità” tendeva ad essere ricacciata nel caos (unni un c’è ssuli né luna) o in fondo al mare.

Ma i fenomeni atmosferici e soprattutto, ancora una volta, i venti, a causa della loro significativa incidenza sul destino delle colture, sono eventi da propiziare o,quantomeno, in prospettiva , da prevedere.
Per questo si era soliti vattiari i vìentira ‘battezzare i venti’ (Castelbuono), secondo uno schema rituale.
La sera dell’epifania, dopo che in chiesa (alla fine del rito del battesimo del bambinello) l’arciprete aveva vanniatu i festi di l’annu (aveva cioè elencato le feste comandate dell’anno appena entrato), alcuni uomini, riconosciuti come particolarmente destri in questa pratica, si trasferivano su una collinetta ventosa, ô cùozzu avvucatu (dove oggi sorge il campo di calcio comunale), e lì vattiàvanu i vìentira.
Si bruciava della paglia e poi si osservava attentamente la direzione (o le diverse direzioni, se i venti erano variabili) presa dal fumo sospinto dal vento o dalla brezza.
Quella era la direzione dei venti che avrebbero dominato nel corso del semestre successivo.

Come non citare ancora i venti dalle capacità malefiche che le nostre nonne temevano portassero malanni per i loro figli , come “u vilenu” vento freddo che non permetteva ai bambini di giocare fuori , u straventu che colpiva i bambini che sudavano giocando all’aperto, ancora la malevola filazza che penetrava dagli spifferi delle case per colpire la gola del malcapitato provocandone l’abbassamento di voce.

Auguriamo una vita con il vento in poppa per tutti voi.

Grazie a Giovanni Majolino


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Alessandro Sidoti

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Alessandro Sidoti

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