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Gli Antichi Mestieri

Il Contadino “U Viddanu”

Oggi sono rimasti pochi, in questa nostra Italia, ad esercitare il mestiere del ”contadino”. Il mestiere “du viddanu” incomincia la mattina all’alba e finisce la sera al calar del sole, con un breve intervallo per consumare un pasto a mezzogiorno. Nei ricordi del contadino c’e in particolare la coltivazione del grano. Tale coltivazione iniziava con l’aratura di maggio. Fino alla fine degli anni ’40 l’aratura veniva eseguita con il tradizionale aratro di legno tirato dai buoi. L’aratura richiedeva la perizia del contadino e l’addestramento delle bestie.
L’accuratezza con la quale veniva eseguita, consisteva anche nella preparazione delle parti in legno che componevano l’aratro e che il contadino costruiva personalmente (ad eccezione del vomere in ferro), con l’esperienza trasmessa da padre in figlio, lo rendeva abile e sicuro. L’aratura veniva esercitata sia a maggio che a settembre ed ai primi di dicembre per la semina. Prima della semina, tracciava con l’aratro dei solchi paralleli, a distanza di 8-10 metri e scomponeva il campo in strisce aventi la stessa larghezza ; ogni striscia veniva percorsa in tutta la sua lunghezza dal seminatore che con ampi gesti “sventagliava” il grano uniformemente. In questi gesti, antichi come il mondo, il contadino affidava le sue speranze alla terra e richiedeva la benedizione dal cielo. Lo stesso procedimento si eseguiva per la semina dei piselli e delle lenticchie. Ai primi tepori primaverili, il grano seminato germogliava e cresceva ; tra la fine di marzo e i primi di maggio, il campo si doveva “zzappuliari”, che consisteva nell’usare le mani e una zappetta leggera con la quale venivano estirpate le erbacce e rimosso il terreno in superficie, in modo da favorire l’accrescimento del grano. Nonostante il contadino facesse il suo lavoro con cura, non bastava : occorrevano acqua e sole. Se la pioggia tardava o non veniva , era compromesso l’intero raccolto.
E veniva il tempo della mietitura…. La giornata del mietitore era particolarmente lunga e pesante: dall’alba al tramonto si usava “a fauci” (falce) e si cantava per alleggerire la fatica. Il raccolto veniva depositato a terra e raggruppato in “manneddi”, legati con “liami” e trasportati al mulino. Ora la figura del “viddanu” va scomparendo e i metodi di coltivazione sono cambiati. L’aratro trascinato dai buoi ha ceduto il posto alle motozappe, mentre nelle campagne viene impiegato il trattore ; i sistemi d’irrigazione, di concimazione sono più moderni con l’impiego di sofisticate tecnologie. La fatica è stata certamente ridotta ma permane l’amore della semina, della crescita delle piante, dell’attesa del frutto, della soddisfazione del raccolto… , sentimenti antichi che ormai pochi hanno ancora dentro di sé.


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