FERDINANDO II DI BORBONE E LE SUE OPERE IN FAVORE DI MESSINA
UN LUOGO COMUNE ABUSATO È QUELLO DELLA FALSA NOMEA DI FERDINANDO II DI BORBONE QUALE “RE BOMBA”. SICCOME LA STORIA SI FA COI DOCUMENTI, NON COI SENTITO DIRE O CON I LIBRI DEGLI ALTRI, ECCO QUALE FU LA VERITA’
Con Carlo VII di Borbone, che entrò a Messina il 9 marzo 1735, ebbe inizio la dinastia borbonica in Sicilia che durerà fino al 1860. Il 21 settembre 1830 salì al trono Ferdinando II di Borbone che voleva sinceramente mettersi in pace con i messinesi, dopo le insurrezioni del 1820 e 1821 per reclamare una Costituzione liberale.
Venne in visita a Messina il 13 marzo 1838 con la regina Maria Teresa ma vi era stato già una prima volta nel 1833 con la prima moglie Maria Cristina di Savoia, morta di parto mentre dava alla luce l’erede Francesco.
Ferdinando II permise la ripresa della pubblicazione dei giornali “Lo Spettatore Zancleo” e “L’Innominato” già soppressi dalla polizia e l’uscita del nuovo giornale “La Sentinella del Peloro”. Per dimostrare ancora la sua generosità nei confronti della “prediletta Messina”, com’egli la chiamava, il 29 luglio 1838 aderendo alla proposta della Giunta messinese, ripristinò l’Università degli Studi che era stata soppressa dal vicerè don Francesco de Bonavides conte di S. Stefano a seguito della fallita rivolta antispagnola del 1674-78, arricchendola di diritti e. Il 2 ottobre 1838 emanò un decreto per la costruzione, al posto delle carceri che arrecavano grave disdoro al centro cittadino, un nuovo monumentale “Teatro degli Spettacoli” che fu poi il “Santa Elisabetta” e oggi Vittorio Emanuele.
Nel 1842, in occasione della risistemazione delle reliquie di San Placido e delle feste secolari della Madonna della Lettera, Ferdinando II e la regina Maria Teresa generosamente regalavano al Santuario di Montalto un bellissimo ostensorio in argento per l’esposizione del SS. Sacramento e un lampadario in cristallo di Boemia.
Dopo due tentativi di insurrezione, nell’agosto 1843 e nel marzo 1844, sempre in conseguenza della mancata concessione di una “Carta costituzionale”, il 3 giugno 1847 la statua di Ferdinando II in piazza Duomo apparve con le orecchie turate da bambagia e gli occhi coperti da una benda, a significare la regale sordità e cecità alla concessione delle riforme richieste dalla popolazione messinese. Dopo l’insurrezione popolare del 1° settembre 1847 e l’avvio di quella del 1848, il “Comitato di Agitazione Palermitano” chiedeva, entro il 12 gennaio di quell’anno, giorno del compleanno di re Ferdinando, la separazione dei due Regni di Sicilia e di Napoli e la concessione o il ripristino per l’isola della “Costituzione del 1812”. Opponendosi Austria, Russia e Prussia, favorevoli invece Francia e Inghilterra, le trattative fallirono. Così la rivolta scoppiò il 29 gennaio 1848, alle ore 9 antimeridiane per concludersi il 7 settembre, dopo otto mesi di accaniti e feroci combattimenti.
Per quanto riguarda l’epiteto dato a Ferdinando II di “Re Bomba”, dalla “Corrispondenza Officiale relativa agli avvenimenti di Messina dal 12 gennaro al 1° marzo 1848”, stampata a Messina nel 1848 dalla tipografia di G. Pappalardo fu Pietro, stralcio alcuni brani di lettere.
Dall’Intendente borbonico Duca di Bagnoli ai componenti il Corpo Consolare delle Potenze Estere in Messina, 27 gennaio 1848: “Ad ottenere tale santo scopo, io credo, che potrebbe immensamente giovare, se le SS. LL. volessero interporre la di loro cooperazione presso questi buoni cittadini, rappresentati, secondo le nostre leggi, dall’ottimo Sindaco, e dal Senato e Decurionato, e stabilire che non venghi alterato l’ordine pubblico e governativo, non si faccia alcuna pubblica manifestazione, né provocazione alle reali truppe, e ciò finchè gli affari di Palermo, e della maggior parte della Sicilia non sieno definitivamente decisi, impegnandomi dal mio canto ad ottenere la stessa azione dalla parte delle reali truppe.”. Un invito, quindi, alla calma, dei “buoni cittadini” messinesi.
Dal Generale borbonico Domenico Cardamona comandante la piazza di Messina al comandante della nave inglese “Teti” nel porto H. J. Codrington: “Giammai le reali truppe useranno delle loro Armi contro i cittadini, quando questi però non dieno tali motivi contro l’ordine pubblico, da provocare le misure estreme…Le misure che potrebbero prendersi, durante il perentorio del Bando, non sarebbero quelle dell’istantaneo bombardamento, ma le sole, atte a respingere qualunque sedizioso, e illecito attruppamento, oppugnando forza a forza, e usando del fuoco, quando tutti gli altri mezzi fossero infruttuosi. Se poi, ad onta di ogni tentativo per rimetter l’ordine, a dispetto della Forza impiegata a quest’oggetto, si facessero delle dimostrazioni, accompagnate da vie di fatto contro le reali fortezze, i loro trinceramenti, e le reali truppe: il sig. Capitano Codrington comprende benissimo, che il difendersi dall’aggressione è nel diritto…”. In sostanza, attaccare soltanto se si è attaccati.
Il bombardamento contro la città avvenne il 29 gennaio su iniziativa personale del generale Busacca (e non di Ferdinando II di Borbone) che, per tale condotta, fu sottoposto al Consiglio di Guerra. Scrive infatti il generale Cardamona al vice-Console di Francia conte di Maricourt il 30 gennaio 1848: “…la cittadella avendo bombardato la città contro i suoi ordini, egli ha intieramente disapprovati la condotta tenuta dal Generale Comandante della Cittadella, il quale non solo ha violato l’ordine di non far fuoco, ma ha voluto cominciarlo di suo arbitrio. E comechè il delitto del Generale è contrario alla disciplina ed al patto convenuto, in forza del quale il sottoscritto erasi obbligato a non far uso dei cannoni, e dei mortai della cittadella, se non nel solo caso di assedio, così il sottoscritto dichiara nuovamente, che egli spedisce a Napoli il Generale Busacca ex comandante della cittadella, assoggettandolo ad un consiglio di Guerra, per giudicare della sua condotta, e al tempo stesso il sottoscritto promette, come avea promesso pria, che non farà fuoco contro la città coi forti della cittadella, se non che nel caso di una formale dichiarazione di assedio, il cui bando sarà pria comunicato al Corpo Consolare. P.S. Si avverte, che la cittadella non farà più uso delle bombe, ma che potrà difendersi dagli approcci, o dalle batterie, che potrebbero innalzarsi contro la detta cittadella, e i trinceramenti di Terranova col cannone diretto sui luoghi di attacco.”.
A questo punto i messinesi iniziarono le offensive con l’artiglieria contro la Cittadella e il Cardamona, il 2 febbraio 1848, avvertì che, “ritirata la mia parola data nell’ultima sessione, tenuta con essi signori Consoli in di lei presenza, e farò trarre sulle persone, e sull’abitazione da cui vengono frequenti colpi, con le artiglierie della cittadella…”. I borboni, quindi, cannoneggiati dai messinesi, si difendono cannoneggiando a loro volta la città, che non era assolutamente “inerme” come più volte è stato scritto. Fu un cannoneggiamento da entrambe le parti e Cardamona, suo malgrado, scrive a Codrington il 3 febbraio 1848: “Nella sessione tenuta il dì 30 p.p. mese, prometteva solennemente, che non avrei fatto trarre sulla città dalle artiglierie della R. Cittadella, dando ascolto agli umani dettami del mio cuore, sempremai avverso a siffatti provvedimenti, ed accedendo parimenti agli umani consigli nel rispettabile Corpo Consolare, ma ciò valeva, finchè tal rispetto militato avesse a vantaggio di ambe le parti: or perché ho avuto modo di rilevare per fatti permanenti, che la mia condiscendenza nuoce al Real Servizio, e non risparmia la strage della truppa, mi veggo costretto a reprimere e far tacere, per quanto è in me, i sentimenti di umanità, e mettere innanzi quelli di giustizia e dei miei doveri.”: QUESTA LA VERITA’ STORICA, CHE SI EVINCE DAI DOCUMENTI UFFICIALI COEVI, ALTRO CHE “RE BOMBA”!
Per tornare all’opera di Ferdinando II in favore di Messina, il 27 settembre 1849 istituì di nuovo il Ministero per gli Affari di Sicilia e Napoli e dichiarò separata e distinta da quella di Napoli l’amministrazione civile, giudiziaria, finanziaria ed ecclesiastica della Sicilia. Il 12 febbraio 1852, per placare gli animi dei messinesi, concesse alla città un “Regolamento” per l’ampliamento del “Porto Franco”, inserendo in esso i quartieri di Zaera, Portalegni, Boccetta e S. Leone e il 25 ottobre 1852, in concomitanza con una sua visita a Messina e Catania, revocò lo stato d’assedio. Nel gennaio del 1853, assieme alla costruzione della “Casa Pia” per il ricovero dei poveri, Ferdinando II consentì anche l’apertura del primo istituto, il “Maurolico”, ad opera del prof. Antonio Catara Lettieri, per l’educazione dei giovanetti. Furono intrapresi i lavori di costruzione di diverse strade di collegamento con i sobborghi esterni, si spostò la statua di Don Giovanni d’Austria da piazza Palazzo Reale a piazza Annunziata dei Teatini nel 1853, perché esposta pericolosamente al tiro dei cannoni della Cittadella e dopo il 1855 si deviarono, per migliore sistemazione, i torrenti della città, fra cui il Portalegni (oggi via T. Cannizzaro) al quale si cambiò l’originario percorso all’interno del centro storico che con le piene causava danni gravissimi.
In questo periodo la popolazione messinese era quasi doppia di quella di Catania e la città era all’avanguardia tra le città siciliane, oltre che nella produzione di filati di cotone e della seta, anche nella concia dei cuoiami e nel commercio delle materie prime e dei manufatti.
Ferdinando II moriva il 22 maggio 1859 e già nuovi fermenti invocanti la Costituzione scuotevano Messina.
Ma, questa, è un’altra storia.
Nino Principato
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