Tredici anni fa scompariva Nunnari uno dei protagonisti della ristorazione a Messina..
Tredici anni fa, nel 2010, con la scomparsa di Pippo Nunnari, si chiudeva anche dal punto di vista umano, un ciclo storico nel settore della ristorazione di Messina, legato allo sviluppo economico della città, in una delle sue stagioni più floride fra la fine degli anni quaranta e gli inizi dei novanta, quando si registrarono la chiusura della rosticceria nel 1992 e poi del ristorante Nunnari.
Quei quattro diversi punti gastronomici, differenziati tipologicamente ed evoluti temporalmente, ma sempre in sintonia con le stagioni socio-economiche del Paese, erano al centro della città; una centralità che è stata ben più articolata del semplice riferimento fornito da un numero civico di una strada o dall’indicazione toponomastica dell’isolato.
Quei locali, dalla prima salumeria all’isolato 110 di via Centonze, nata alla fine della seconda guerra mondiale, alla nuova sede di via Nino Bixio a metà degli anni 50, poi in via Giordano Bruno e sino all’esercizio e poi anche ristorante all’isolato 157 di via Ugo Bassi 63, come cartina di tornasole, rilevavano le speranze e le aspirazioni, le tendenze e le crisi di una comunità, attraverso l’immagine filtrata dal più naturale dei bisogni: il cibo.
Specchio di una società perché in quell’atto alimentare, vi si amalgamano la dimensione biologica e quella sociale, la fisiologica e l’immaginario, in una particolare alchimia sapientemente espressa dall’aforismo “siamo ciò che mangiamo”.
E sono questi certamente valori a cui i Nunnari, si sono riferiti nella loro lunga attività iniziata nel 1947, al civico 147 di una via Centonze, ove ancora si lavorava per sanare i danni dei bombardamenti aerei del secondo conflitto mondiale. Una città che tornava ad incontrarsi dopo i drammi bellici, dopo le sofferenze, le perdite subite e la fame patita.
Quel piccolo esercizio aveva un unico lineare bancone di vendita, sormontato da vetrinette, affrancate dalla cinematografia neorealista, con l’agognato pane e con pezzi di formaggio, con il “conforto” di un piccolo ventilatore a quattro pale. Era per il cavaliere Giuseppe Nunnari, un piccolo mondo, ove si affacciava una varia umanità costretta a fare i conti con il costo di un chilo di pane salito a 73 lire, di un chilo di pasta che si acquistava a 121 lire e di un uovo, per il quale bastavano 22 lire.
Ma l’Italia cresceva, ed anche Messina cominciava a potersi permettere un pranzo scandito non solo da una minestra ma da una spesa più “ricercata”, ed in questo Nunnari fu pronto a raccogliere i nuovi orientamenti del pubblico, ampliando l’offerta della rosticceria oltre che di una salumeria da banco, più variegata, con prodotti caseari dei vari territori. La scelta imprenditoriale fu premiata dalla clientela, che sempre più vasta ed attenta determinò, a metà degli anni cinquanta, l’apertura della rosticceria-salumeria Pippo Nunnari di via Nino Bixio. Fu il segnale dell’avvio di una stagione di benessere economico che si rifletteva anche sui consumi alimentari, e prosciutti di marca facevano bella mostra, insieme a salumi di qualità, sopra il bancone ricco di selezioni di formaggio, con all’ingresso grandi forme di Parmigiano ed appese provolette di varia tipologia. Una stagione caratterizzata in Italia dal grande periodo creativo fra il 1950 e il 1968, l’epoca del «miracolo economico». In quegli anni in cui si inventava la Vespa, la Cinquecento e il periodo precludeva agli anni del boom, a Messina si registrava, il 15 agosto del 1966, l’inaugurazione della moderna rosticceria-salumeria Nunnari di via Ugo Bassi, sede storica dopo un accurato restyling e, nello stesso anno, dell’omonimo ristorante, ospitato in tre botteghe limitrofe e capace di 120 coperti.
Quell’ultima realizzazione costituiva un continuum del percorso imprenditoriale, legandosi ad un precedente impegno con cui si erano scommessi i Nunnari, attraverso la gestione nella ristorazione offerta al lido del Tirreno, proprio là dove, qualche anno dopo, sarebbe sorto lo Sporting di Alberto.
Questo ristorante estivo dei Nunnari, oltre ad assecondare una tendenza dei messinesi propensi a ritrovarsi nel periodo estivo, nella zona nord della città, a frequentare i lidi di Mortelle, fu palestra per molti ristoratori messinesi come Teo Aversa, che in anni successivi gestì la Macina di Ganzirri, altro locale che contrassegnò eventi di altre generazioni, con altre aspettative gastronomiche. Aversa come anche Pietro Romeo, che più avanti fu il gestore di ristoranti come da Pietro, Il Galeone e Cotton Club, avevano iniziato dietro il bancone della salumeria.
Nunnari metteva il cuore in ogni sua iniziativa come nell’allestimento del punto gastronomico durante la Fiera di Messina, per il periodo ferragostano, con la tipica focaccia messinese o nel 1980, in occasione di una spedizione in Friuli, durante il gemellaggio “gastronomico” tra la città dello Stretto e Pordenone. Ospite di una grande ristoratore, Gildo a Porcia, con il quale aveva stretto amicizia, in una serata in cui il titolare aveva già chiuso la cucina e stava rifiutando gli ultimi avventori, sostituitosi in cucina allo chef, aiutò l’amico preparando i suoi piatti siciliani perché – egli diceva sempre- “occorre accogliere sempre il cliente”.
La rosticceria- salumeria Nunnari fu l’affermazione, anche a Messina del take-away per le specialità culinarie proposte; dalla pasta al forno, all’insalata russa, ai rustici, alla salumeria ed al pane cotto con forno a legna, che nelle giornate domenicali, quando non ne era prevista la commercializzazione, veniva offerto ai clienti da solerti e preparati addetti, “celati” dietro il vetro del banco dei salumi, foderato di carta da confezione del locale. Una carta particolare che Nunnari commissionava ad una tipografia messinese, in un formato fuori registro che comportava una maggiore spesa. Ma quegli imprenditori erano cosi, cercavano di accontentare la clientela e sodisfare le loro aspettative, tanto che agli inizi degli anni sessanta, si avviò l’attività, viva per cinque sei anni, di una salumeria di livello, sul viale San Martino, al civico 318, subito dopo il viale Europa, proprio nella logica di servire una più vasta area.
Una ricerca ed una professionalità, profuse nella preparazione dei “mitici” arancini, declinati al maschile secondo la tradizione peloritana, e resi famosi fuori dai confini provinciali; il segreto probabilmente era nel sugo con piselli e mortadella, che Nunnari preparava personalmente ogni mattina quando si chiudeva nella sua cucina-laboratorio in cui creava anche sei-sette crostate di fragole, prima di tuffarsi nella lettura della sua “Gazzetta dello Sport”. Per il resto era un costante controllo della produzione dei doremì, morbidi triangoli di pane a cassetta, arancio o verde, ripieni d’insalata russa, che si potevano guastare con 120 lire, dentro il locale, in piedi o poggiati sul lungo e stretto piano fornito di alti sgabelli, alla fine del grande salone della rosticceria. Ed ancora le mozzarelle in carrozza, il fritto misto ed i pitoni pagati alla cassa ove si riceveva un tagliando multicolore, quasi un biglietto per il cinema, per un “gastronomico” momento di piacere.
Giovanni Majolino
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