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I gelsi di Sicilia.

Il gelso nero è coltivato per i suoi frutti, considerati particolarmente gustosi e ricchi in principi nutritivi.
I frutti, chiamati more, si raccolgono scalarmente, prelevando quelli maturi molto delicatamente, staccandoli con una leggera pressione delle dita.
Va posta molta attenzione alla raccolta , che macchiano pelle e soprattutto tessuti.
Essendo rapidamente deperibili, si conservano in frigo solo per qualche giorno.

Il gelso bianco è poco usato come pianta da frutto per via del sapore dolciastro, tendente all’acidulo, dei suoi frutti, che venivano considerati lassativi e antibatterici contro il batterio coinvolto nella carie dentale.

I gelsi contengono un alto quantitativo di ferro, circa 185 mg per 100 gr di frutti; una cosa assai rara tra i frutti di bosco, e pochissime calorie, circa 43 per 100 gr.

Non poteva mancare una leggenda legata ai gelsi.

Era l’aprile del 1282. La rivolta dei Vespri era già avvenuta con successo a Palermo e si stava estendendo in tutta la Sicilia.

I siciliani erano presi in pieno dal fiume della ribellione in tutti i luoghi e la persecuzione degli Angioini era al suo punto culminante.

C’era un vecchio mercante francese, a Palermo, che era cieco. Per timore della rappresaglia, decise di scappare accompagnato dalla figlia, una bella ragazza quindicenne.
Presero la strada delle montagne, sulla catena delle Madonie , invano cercando rifugio presso un eremita in odore di santità che, temendo la reazione delle turbe scatenate, rifiutò di accoglierli nel suo eremo. Allora padre e figlia proseguirono il loro cammino, camminando di notte e dormendo di giorno, nascosti fra i recessi dei boschi.

Una notte, però, il povero cieco, messo un piede in fallo, precipitò in un burrone e morì di colpo.
Per la ragazza fu uno shock.
Trascorse tutta la notte piangendo terrorizzata sul ciglio del burrone, invocando il padre e pregando Dio che le venisse in soccorso.
Non c’era anima viva d’intorno e dei vivi c’era da temere Giunse l’alba, e il primo sole scorse la fanciulla che gemeva ancora e piangeva.

A un tratto, si udì vicino un rumore di campanelle: era un gregge che si dirigeva al pascolo.
Il pastore scorse la giovane, le andò vicino e, vistala così disperata, la confortò e la rifocillò
.Subito dopo diede cristiana sepoltura al padre, quindi condusse la giovane nella sua grotta, dove la fece riposare.
Verso sera giunse un gruppo di inseguitori degli Angioini che, fermatisi nei pressi della grotta, chiese al pastore se ne avesse visti. Il pastore negò di avere visto francesi.

Allora gli chiesero chi fosse la ragazza che era con lui.
«È mia sorella» rispose. «Purtroppo è muta dalla nascita, e la sto conducendo al Santuario di Gibilmanna , sperando che la Madonna le faccia la grazia.»
Quando gli inseguitori se ne andarono, la fanciulla aveva gli occhi che splendevano come stelle. Non sapeva come ringraziare il pastore per tutto quello che aveva fatto per lei.

A un tratto scorse un roseto selvatico, che fioriva vicino alla grotta. Corse lì e colse delle rose, ne fece un mazzetto che offrì con timidezza al pastore, che la ringraziò felice.
La ragazza si era punta con le spine delle rose e le mani le sanguinavano, allora se le pulì con le foglie di un gelso che cresceva lì vicino.

Raccontano che la Madonna, in riconoscimento di questo gesto di pietà e solidarietà umana, operò il miracolo che le foglie dei gelsi avessero da allora le macchie rosse.

Comunque le granite ai gelsi sono tra le delizie a cui non si può mancare nelle torride estati siciliane.

Grazie a Giovanni Majolino


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