Cala u panaru.
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L’arte d’intrecciare vimini è assai antica e diffusa., fu portata in Sicilia quasi sicuramente dai Greci, il λυγοπλόχος costruiva con i vimini ceste, recipienti, sedili, ecc.; anche il clipeus era uno scudo fatto con un intreccio di vimini rivestito di cuoio.
L’insieme degli oggetti fabbricati con tale materia prima era genericamente indicato con il nome di vimina .
Le principali specie del genere Salix che si coltivano per la produzione dei vimini sono: Salix alba, triandra, purpurea, incana, viminalis, aurita e la loro caratteristica è di avere rami lunghi, diritti, flessibili.
Queste piante si coltivano in terreni freschi, argillosi, i rami si raccolgono ogni anno o ogni due anni.
La raccolta si fa in primavera: (fra marzo e maggio) e in inverno (da novembre a marzo) per mezzo del falcetto o del seghetto.
I vimini poi si affastellano e i fascetti si pongono a macerare nell’acqua preferibilmente corrente e poscia si scortecciano o a mano, o a macchina, o a vapore, quindi si lasciano disseccare e si riuniscono nuovamente in fasci a seconda della loro lunghezza.
La caratteristica dei prodotti siciliani è l’utilizzo anche di altre piante come l’ulivo, le ginestre e le canne.
Arte complessa che unisce all’abilità manuale la conoscenza di tecniche antiche apprese dall’infanzia e poi tramandate di padre in figlio, di generazione in generazione.
Sono rimasti in pochi i maestri dell’intreccio capaci di realizzare cesti eleganti e raffinati la cui forma può variare da un luogo all’altro, così come gli inserti colorati e i decori che ritraggono gli usi e costumi locali.
Ramoscelli d’ulivo, canne, giunco, olmo, vimini e ginestre sono i materiali da intreccio più utilizzati dalla tradizione rurale siciliana. Pinze, forbici, coltello e punteruolo sono invece gli strumenti di cui si servono i maestri della tradizione durante la realizzazione di opere di artigianato,
La realizzazione artigianale dei panari siciliani è un’arte. Possono avere forme e dimensioni diverse. Non sono per forza cilindrici, ma possono anche essere rettangolari e bassi: tutto dipende dal contenuto. Non si tratta dell’unico tipo di cestino della tradizione siciliana. Gli fanno compagnia le “cartedde“, con o senza manici, le “fascedde” senza manici (quelle usate per le forme di formaggio), i “cufini“, le “cufinedde“, i “cannistri” (questi ultimi riservati al cibo e tipici della Festa dei Morti in Sicilia).
U panaru resta comunque il prodotto più famoso e utilizzato, un cestino realizzato con rami intrecciati a mano, il più delle volte canna oppure olivo selvatico, tradizionalmente usato per trasportare pane, uova o frutta. Ancora oggi lo si può spesso vedere legato a una corda e calato dai balconi.
Chiamato così per l’utilizzo prevalente come contenitore per il pane.
Esiste pure una leggenda oscura che narra invece che il nome sia derivante da lupo panaru un individuo che nasceva nella notte di Natale e che imprescindibilmente sarebbe diventato stregone o lupo mannaro se maschio, strega se femmina..
Per bloccarne i potere doveva essere allevato per i primi quaranta giorni di vita dentro un cesto fatto di piante magiche che annullassero il potere dentro il bambino facendolo crescere “normale” appunto u panaru
Qualunque sia l’origine del nome e gli eventuali poteri intrinsechi , restano vere e proprie opere dell’ingegno, nate in quei tempi in cui l’arte di arrangiarsi era in grado di creare manufatti straordinari. ..
Grazie a Giovanni Majolino
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