MAI PIU’ GUERRA!
MESSINA NEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE
Alle 16,15 del 9 gennaio 1941, Messina subiva il suo primo attacco aereo della Seconda guerra mondiale e il suono lacerante delle sirene d’allarme, da questo momento, sarebbe diventato la tragica musica di morte e distruzione che l’avrebbe accompagnata fino all’11 agosto del 1943.
I messinesi che quel giorno, naso in aria, osservavano più ammirati che impauriti le solitarie evoluzioni di un bimotore inglese “Bristol Blenheim” che sganciava spezzoni incendiari tra le vie T. Cannizzaro e C. Battisti, certo non immaginavano che avrebbero avuto, davanti a loro, in due anni e mezzo, 320 incursioni aeree, 27.864 bombe, 8.298 vani di fabbricati distrutti, 6.978 vani danneggiati, 4.000 feriti e 805 morti.
Mentre il 17 febbraio 1941, gli studenti universitari della classe 1921 partivano volontari, la città iniziava a sperimentare, sulla propria pelle, “l’ora delle decisioni irrevocabili”.
Le donne di Messina avevano già offerto, il 18 dicembre 1935, la fede nuziale alla Patria, nel corso di una cerimonia organizzata in piazza Cairoli dalla federazione fascista ed in cambio avevano ricevuto anelli di ferro; adesso ricevevano bombe dagli aerei della R.A.F ed il 15 luglio 1941, dopo un’incursione terminata alle 4,15, piangevano le prime tre vittime: Cristoforo Coscia, Antonino Maimone e Salvatore Urbino.
Intanto i cortili dei casermoni popolari ed ogni area libera si riempivano di terra, dove si seminava grano e granoturco, strani ambienti chiamati “orti di guerra”, in ossequio ad una disposizione del Ministero dell’Agricoltura.
Fioccavano le bombe e, nei momenti di pausa fra una sirena e l’altra, avanguardisti, balilla, piccole italiane e donne fasciste iniziavano, il 31 ottobre 1941, la raccolta di lana per i combattenti in Grecia: era la “Giornata del fiocco di lana”.
Il primo anno di bombardamenti si chiudeva tragicamente il 22 novembre, con 42 morti ed una cinquantina di feriti: i messinesi erano stati colti nel sonno, alle 3,52, da bimotori che sganciavano bombe su un fabbricato in via Catania.
Il 7 gennaio 1942 l’ultima befana fascista, a Messina, si svolgeva con la consegna di 1200 pacchi dono del Duce e, dalla fine di maggio ai primi di dicembre del 1942, aerei inglesi bombardarono ripetutamente la città di notte, illuminata dai bengala.
La gente trascorreva le nottate nei ricoveri di fondo Martinez e Ruggeri, del Noviziato, del rione Marinaro e dei Saraceni, rientrando a casa all’alba.
Il 26 gennaio 1943 cominciarono a bombardare anche gli americani con i quadrimotori “Consolidated Liberator B-24”, le “Fortezze volanti”. Sarebbe stato, questo, l’anno più nero per la città. Gli americani usarono le micidiali bombe “block buster” (cosiddette “spiana fabbricati”) che distruggevano gli edifici all’interno, lasciando in piedi le strutture perimetrali. Messina, vista dall’alto, sembrava così intatta e fu definita dai piloti “città fantasma”.
Alle 17,05 del 30 gennaio, l’urlo stridulo delle sirene si sovrapponeva alla voce melodiosa di Alida Valli che cantava “Ma l’amore no, l’amore mio non può, dissolversi con l’oro dei capelli”: all’Odeon si proiettava il film “Stasera niente di nuovo“ e i pochissimi spettatori fuggivano atterriti verso i ricoveri cittadini. Alla fine della giornata il bilancio era pesante: 51 morti.
La città, alla mercé dei “Liberator”, era ormai moralmente e fisicamente distrutta: mancavano l’acqua, la luce, il gas, i generi di prima necessità. Ormai tutti vivevano negli spazi antistanti i ricoveri, cucinando con improvvisati fornelli.
Il latte condensato veniva distribuito, nella misura di tre scatole a testa, alle persone che superavano i 65 anni e, di due, ai bambini fino a 10 anni.
Con la tessera annonaria si ricevevano 200 grammi di pane, ma, spesso, pane e pasta si facevano con immangiabile farina di fave e le carrube sostituivano lo zucchero.
Tutto ciò alimentava il mercato nero che la polizia tentava di reprimere. In uno di questi controlli, cadeva nelle mani delle forze dell’ordine la signorina Adelaide Pascalizzi, nome d’arte Linda Campeggi, intesa “la romana”. Tenutaria di una casa d’appuntamenti, imboscava in una stanza caffè, zucchero, farina, pasta, riso, olio e sigarette.
Al mercato nero si potevano trovare anche le sigarette “AOI” (Africa Orientale Italiana) e le “Serraglio”. Ben presto, neanche queste.
Per le strade ci si arrangiava organizzando la riffa dei tre numeri sotto il 90 ed i gruppi rionali fascisti, in mezzo alle macerie, proponevano un patetico “ottimismo di Stato” con filodrammatiche e gruppi di arte varia che si esibivano in autarchici spettacoli. Per la maggiore andavano i complessi del “Pepe”, del “Tonoli” e del “Brumana”.
In uno scenario da fine del mondo, Messina continuava nel suo calvario. Gli storici della Royal Air Force scriveranno: “L’8 agosto (del 1943, nda) quell’infelice città appariva ridotta in condizione quasi simile a quella in cui fu ridotta dal terremoto del 1908”.
Poi, arrivarono gli Alleati, il generale George S. Patton, il generale Bernard Law Montgomery, il colonnello Lyle B. Bernard e con loro il “Boogie-Woogie”, le “stampatelle” (sigarette rotolate a mano, prima con tabacco inglese finissimo e, poi, col tabacco ricavato dalle cicche gettate dai militari e raccolte dagli “sciuscià” messinesi), le “Am-lire” e la fervida speranza in un radioso avvenire:
A Messina erano le ore 9 del 17 agosto 1943.
Nino Principato
(alcune foto sono tratte da: Enzo Verzera, “Messina ‘43”, “Messina ’44, “Bombardamenti aerei della Seconda guerra mondiale”)
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