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800 ANNI FA IL PRIMO MIRACOLO DI S. ANTONIO DI PADOVA A MESSINA

Intorno al 1195 nasceva a Lisbona, in Portogallo, il Santo più amato dagli italiani: Fernando, poi conosciuto in tutto il mondo come Sant’Antonio di Padova.
Il santo è stato anche qui, nella nostra città, e proprio a Messina compì il suo primo miracolo. Tra l’altro, nella chiesa di San Francesco d’Assisi all’Immacolata – fondata nel 1254 da Violante Palizzi, Eleonora da Procida e Beatrice Belfiore, patrizie messinesi – si conserva come preziosa reliquia la mattonella sulla quale caddero le gocce di sangue di S. Antonio.
Per capirne il motivo dobbiamo andare indietro nei secoli, fino alla primavera del 1221…il tempo non ha più alcun significato…
Antonio, canonico del monastero di Santa Croce a Coimbra, dopo aver fatto naufragio a Milazzo di ritorno dall’Africa, si dirige alla volta di Messina, dove i frati francescani avevano costruito nel 1212 un convento alle porte della città, nelle vicinanze del torrente “della Buzzetta”. Messosi in viaggio e percorrendo lungo la costa una trentina di chilometri da Milazzo a Messina, giunge fra la comunità peloritana, già fiorente e vivaio dell’Ordine Minoritico dell’Isola, proprio quando i confratelli si stanno preparando a partire verso Assisi, per il famoso Capitolo del 1221.
Antonio è uno sconosciuto che arriva da “altra provincia”, malandato per i postumi di una malattia contratta in Africa e per le fatiche di un viaggio tempestoso, ma, ben presto, dovrà “rivelarsi”.
Il convento non possiede un pozzo ed Antonio osserva da tempo la penosa fatica dei confratelli, i quali sono costretti ogni volta a recarsi alla pubblica fontana detta di “Cruci ritta” (che è esistita fino al terremoto del 1908), distante circa una cinquantina di metri dal lato ovest del convento, per attingervi il prezioso liquido.
Il superiore, frate Leonardo, considerando il sacrificio un segno di salutare mortificazione, non permette che all’interno del chiostro venga scavato un pozzo, cosa non del tutto gradita ai frati che se ne lamentano e, quando viene il momento in cui deve temporaneamente assentarsi dal convento, i loro brontolii diventano quasi protesta.
Antonio cerca di agevolare i propri confratelli e, prodigiosamente, fa sgorgare l’acqua da un pozzo improvvisato, liberandoli così dalla fatica del trasporto dell’acqua.
Pochi giorni dopo, frate Leonardo ritorna al convento. Per poco non accade il finimondo: Antonio ha disobbedito e viene aspramente ripreso dal superiore (“Uno di quei fanatici che non sono mancati in tutti i tempi […]”, come osserva lo storico messinese Gaetano La corte Cailler), il quale lo costringe a far penitenza nella sala refettorio, genuflesso per terra, confessando e deplorando la sua colpa e, addirittura, flagellandosi pubblicamente.
Alcune gocce del suo sangue cadono, così, sul pavimento e saranno destinate a lasciarne i segni per lungo tempo.
Fuori verdeggia l’albero d’aranci (“portogalli”) che Antonio ha piantato vicino al pozzo: ne pianterà anche a Cefalù e a Vizzini. Un gesto gentile, scaturito dalla nostalgia per la sua terra portoghese e che punteggerà i posti che il Santo visiterà nel suo lungo peregrinare, come un segno particolare della sua presenza.

Nino Principato


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