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LA PIU’ANTICA LETTERA DEL MONDO SCRITTA A MESSINA DALLA CONTESSA ADELASIA E TENUTA INDEBITAMENTE DALL’ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO

Il porto di Messina era parato a festa quel giorno del 1089, tutta la città era in festa e le navi alla fonda ostentavano addobbi, arazzi, tessuti preziosi di seta, damasco, raso: Adelasia del Vasto, dopo aver impalmato a Mileto in Calabria il Gran Conte Ruggero il normanno che andava a nozze per la terza volta, giungeva in pompa magna su navi da dove sbarcavano congrua dote, scorta e un affollato seguito di suoi conterranei piemontesi che l’avevano seguita per stabilirsi nella parte centro-orientale della Sicilia.
Era bella Adelasia nello splendore dei suoi adolescenziali quindici anni, affascinante e certamente Roger de Hauteville, meglio noto come il Gran Conte Ruggero (Hauteville-la-Guichard, circa 1031 – Mileto, 22 giugno 1101), conquistatore e primo Conte di Sicilia, nonostante i suoi sessant’anni non era da meno in quanto a fascino e bellezza.
E Adelasia avrebbe dovuto prendere, nel cuore di Ruggero, il posto delle due indimenticate mogli morte: Giuditta d’Evreux (1050-1076) ed Eremburga di Mortain, morta nel 1087. E gli avrebbe dato a sua volta quattro figli, Simone (1092), Matilda, Maximilla e Ruggero (1095), futuro re di Sicilia e successore del padre.
Fu un periodo di grandi fortune per Adelasia. I figli maschi delle precedenti mogli di Ruggero morirono e così, quando anche il Gran Conte trapassò nel 1101, ella rimase reggente del figlio Simone, prima, e del futuro re Ruggero II, poi. Si trovò al comando di uno dei più potenti e ricchi stati d’Europa che amministrò con saggezza, capacità ma anche con grande rigore.
A Messina la contessa trasferì la sua corte, città alla quale era molto affezionata e dove aveva avuto inizio, nel 1061, la campagna vittoriosa normanna per liberare la Sicilia dal dominio musulmano. Da Palermo, poi, resse con fermezza le sorti della Sicilia sapendo essere rigida e spietata quando si trattava di reprimere le frequenti sommosse da parte del baronato e dei signorotti locali, ma, al contempo, lungimirante e cosmopolita (e in ciò ne aveva preso dal marito) integrando razze e culture diverse in un contesto multietnico: greci, arabi, franchi, latini, dovevano sentirsi come popoli di una medesima patria.
Nel 1112 venne il momento di mettersi da parte: il figlio Ruggero compiva diciassette anni, quanto basta per poter agire e prendere autonome decisioni politiche. Ma Adelasia non aveva certamente nessuna intenzione di condurre una vita da “pensionata” e così, quando gli ambasciatori di Baldovino I di Fiandra, re di Gerusalemme, giunsero nello stesso anno a Messina per richiederla in moglie a suo nome, accettò senza tentennamenti. A quarant’anni, ancora affascinante e piacente, Adelasia fece le valigie e nell’estate del 1113 si imbarcò nel porto di Palermo, in partenza per Gerusalemme. La accompagnavano undici navi da guerra e mercantili stracolme di soldati, tra i quali cinquecento temibili arcieri saraceni, e il suo tesoro personale. Il matrimonio fu fastoso e accontentò pienamente le mire dei due sposi: Baldovino risolveva i suoi problemi economici e finanziari, Adelasia poteva fregiarsi del titolo di regina e avrebbe potuto, poi, trasmettere la corona al figlio Ruggero. Ma siccome questo matrimonio “non s’ha da fare”, ben presto le proteste del clero locale, dei potenti del regno e soprattutto l’indigesta clausola del contratto di matrimonio, che garantiva la successione al trono di Gerusalemme al rampollo di Adelasia, fecero sì che l’avido Baldovino, che ormai si era impadronito delle sostanze della moglie, la ripudiasse facendo annullare le nozze il 25 aprile 1117. All’ex regina non rimase altro che percorrere la strada del ritorno, imbarcandosi alla volta di Palermo. Il figlio Ruggero, impegnato a consolidare i territori della contea della Sicilia e della Calabria, rimandò a dopo ogni proposito di vendetta e si dedicò a rincuorare la madre offesa nella sua dignità. Troppo orgogliosa Adelasia, era nel suo carattere e così si rinchiuse nel monastero di San Bartolomeo a Palermo e, poi, in un altro monastero, a Patti, dove morì l’anno dopo, il 16 aprile 1118. La sua salma venne traslata nella Basilica Cattedrale che era stata fatta edificare, nel 1094, dal marito Ruggero.
Adelasia del Monferrato fu particolarmente legata, col consorte, all’abbazia di San Filippo di Fragalà o di Demenna a Frazzanò, sui monti Nebrodi, un cenobio basiliano dedicato a San Filippo d’Agira, di antica fondazione e che era stato semidistrutto dagli arabi. L’abate Gregorio, nel 1090, aveva chiesto alla coppia, e ottenuto, il loro intervento per la ricostruzione. Tale affetto per l’abbazia fu così forte da spingere Adelasia, il 25 marzo 1109, a scrivere a Messina una lettera indirizzata ai Vicecomiti, Gaiti ed altri ufficiali delle terre di Castrogiovanni (Enna) raccomandando loro “[…] di non molestare ma anzi di porre sotto la loro protezione i monaci del Monastero di San Filippo di Demenna, sito nella valle di San Marco”.
La rarissima missiva, scritta secondo l’usanza del tempo nelle due lingue greca ed araba, su carta con inchiostro nero e recante i segni di un sigillo in cera rossa, è oggi indebitamente custodita all’Archivio di Stato di Palermo da dove venne trasferita, nel 1877, con un complesso di 2241 pergamene appartenuti agli archivi di San Filippo di Fragalà, Santa Maria della Maddalena di Valle Giosafat e Santa Maria di Malfinò, tutti monasteri messinesi soppressi dopo la legge del 1866.
Adelasia, per redigere la lettera, usò la carta poiché non si trattava di un diploma o di un privilegio ufficiale per i quali veniva adoperata la più solenne pergamena, ma di un atto transitorio. L’assoluta rarità del reperto è evidenziata, in un suo pregevole articolo, da Vincenzo Fardella de Quernfort: “Acclarato, infatti, che negli archivi pubblici – scrive lo studioso – non esistono documenti cartacei anteriori a questa data e che in Italia le prime forniture di “carta bambagina” di fabbricazione fabrianese sono documentate da atti notarili del 1264, conservati nell’Archivio Storico di Matelica, si passò all’analisi microscopica dell’impasto fibroso, che risultò composto da cellulosa di lino, in fibre poco raffinate, avendo così la conferma che il documento siciliano era stato scritto su carta di sicura provenienza araba. E’ noto, infatti, che nel mondo musulmano esistevano delle cartiere già nel secolo VIII d. C. e che gli arabi furono i primi esportatori della carta nei paesi dell’occidente”.
Adelasia del Vasto, dunque, scriveva il documento cartaceo più antico del mondo.

E lo scriveva a Messina!

Nino Principato


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