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CARAVAGGIO, MESSINA, LA VARA

Ne aveva udito a Roma da un nucleo di Messinesi che si era stabilito nell’Urbe. Uno portava anche lo strano nome di Letterio, mai sentito prima, derivato dalla Madonna della Lettera che aveva vergato un messaggio di benedizione e protezione della città, nel 42 dopo Cristo, divenendo ipso facto patrona di Messina. Sempre a Roma, incredibilmente, verso il 1564 Nicola Circignani detto il Pomarancio, su incarico di alcuni marinai messinesi aveva dipinto, sul muro di una casa nel quartiere di Trastevere, una bella effigie della Madonna della Lettera.
Favoleggiavano, questi messinesi, di un enorme carro trionfale, una mirabolante “machina” votiva di forma piramidale chiamata Bara o Vara affollata di personaggi viventi, che veniva trainata in processione su due pattini di legno da tiratori a piedi scalzi aggrappati a lunghe gomene, la vigilia della festività di Maria Santissima Assunta in Cielo.
Ed oggi, 14 agosto 1609, Caravaggio è appostato nella “strada dei Librai” che dalla strada maestra dell’”Uccellatore” conduce alla piazza di Santa Maria La Nova dove ci sarà la famosa “girata” che porterà la Vara di fronte alla Cattedrale.

La città, da giorni, è sontuosamente parata a festa con drappi di seta arabescati d’oro e d’argento che pendono dai balconi delle case, apparati di archi trionfali effimeri illuminati da centinaia di lumini, l’interno del Duomo un tripudio di argenterie, vasi dorati, broccati d’oro: è impressionante l’eccesso di questi isolani sia nelle manifestazioni del sacro che del profano, nella vita come nella morte, che tutto è teatralità, drammatizzazione, sconcertante magnificenza, superba ostentazione, lusso e devozione.
La Vara è stata montata e “vestita” in un piazzetta dietro la chiesa di S. Luca, all’inizio della strada maestra dell’”Uccellatore”. Fra poco partirà al grido quasi belluino di “Viva Maria!” urlato da migliaia di bocche, fenderà la folla che preme ai bordi della strada, susciterà immensa commozione e ammirazione.

Un fragoroso sparo di mortaretti che stende una spessa coltre di fumo bianco sulla calura, è il segnale. La pesantissima “machina” si muove dietro due lunghe scie di tiratori: il popolo; bastasi di porto schiumati da luride bettole; tracotanti caporioni più usi al coltello che alla lingua; taglieggiatori di osti e meretrici, a torso nudo e dagli occhi incaverniti; fecce maramalde da poco vomitate dalle carceri di Rocca Guelfonia che sembrano i personaggi di uno di quegli ombrosi dipinti di Michel Angelo.

Tutti santi, tutti mondi delle loro nefandezze che oggi tirano la Vara. Tutti santi che la gran “Matri Assunta” provvederà anche per loro. Tutti santi che basta un’ora di fatica, al grido di “Viva Maria”, per riscattare giornate d’empietà, vite cariate, esistenze tarmate. I nobili no, che non si mischiano alla ciurmaglia, che loro santi già lo sono: hanno soffocato le chiese di cappelle, di lasciti, di censi e legati di messe, hanno ipotecato un pezzo di Paradiso.

La gente grida, “Scasa! Scasa!” e la Vara arranca maestosa mentre il sole e la Luna girano e girano anche i terrorizzati bimbetti-angeli dalle ali posticce, attorno al globo terracqueo ai piedi del Cristo.
La Vara arranca, strappo dopo strappo.
Altri strappi degli oltre duecento tiratori, “Viva Maria!” e la Vara guadagna l’incrocio della strada dei Librai con la strada maestra, pronta per la girata, proprio di fronte a Michel Angelo.
Si levano alti suoni di pifferi e acuti squilli di tromba, la turba ammutolisce, cala il silenzio e il fanciullo-Cristo sulla sommità della Vara parla alla bambina-Madonna:

“Virgini di li Virgini ab eternu
Eletta, e poi creata Matri Santa,
A pussidiri lu Regnu supernu
Di lu miu Patri, cu gloria tanta,
Veni filici Pianta, poichi hai misu
Paci fra l’homu, e Diu, chi l’havi offisu.
Veni triunfanti Imperatrici à dari
Riposu all’infiniti toi tormenti,
Chi suppurtasti per lo riscattari
L’homu dall’infernali focu ardenti:
Veni climenti Matri, alma Regina,
Prega per la divota tua Messina”.

Con le braccia incrociate e gli occhi rivolti al cielo, un piede in miracoloso equilibrio sul palmo della mano destra di Cristo, la bambina-Madonna risponde all’invocazione del Figlio:

Milli gratij ti rendu, Eternu Patri
Chi di l’Ancilla tua ti ricurdasti
Et à tia duci Figliu, chi à la Matri,
La tua Cità fidili accumandasti,
Pirchì ordinasti, ch’io li sia Avucata,
Pir l’amor miu ti sia ricumandata”.

La mano della bambina-Madonna, che per l’occasione ha il potere di liberare qualche miserabile dalla galera, o dalle carceri, o dalla morte, traccia in aria larghi gesti di benedizione, molti hanno le guance rigate da lacrime di devozione, tutti si fanno il segno della croce.
Anche Michel Angelo istintivamente si segna, e perché adesso le mani gli tremano? Cos’è questa strana inquietudine che ronza sulla sua testa? Perché gli occhi non riescono a staccarsi da quella Madonna, innocente bambina e pur vera Madonna che ha benedetto anche lui?

I “capicorda” sono già in posizione nella scesa della strada dei Librai; “timonieri” e “vogatori” un ammasso di muscoli e nervi tesi. I tiratori hanno alzato le corde, segno che sono pronti anche loro. Un fischio prolungato e la Vara gira su sé stessa, scivola maestosa verso la Cattedrale trascinata con forza da una canea di santi. Caravaggio è con loro, all’ultimo momento si è aggrappato ad un pezzo di corda…tira la Vara.

Oggi è santo anche lui.

Nino Principato

(da, “La luce e le tenebre. Giornate violente e geniali di Caravaggio a Messina”, Messina, 2007)


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