LA FAMIGERATA SPIANATA, AL MUSEO REGIONALE, DA SVUOTARE.
TARGHE, OPERE D’ARTE E NUMEROSI “PEZZI” DA RICOLLOCARE NEI LUOGHI D’ORIGINE E RESTITUIRE ALLA CITTA’
Nel 1890 veniva creato il Museo di Messina nei locali del monastero di San Gregorio, distrutto dal sisma del 1908.
In mezzo al caos delle informi macerie, nel gennaio-maggio 1909, un uomo si adoperava con tutti i mezzi a disposizione nel salvataggio delle opere custodite nel distrutto Museo e disseminate per tutta la città: si trattava di Antonino Salinas, allora Soprintendente ai Monumenti di Palermo che riuscì a recuperare, salvandolo da un’ancora ulteriore distruzione e trasportandolo nei locali della filanda Mellinghoff e nell’area di quello che restava della chiesa e convento del San Salvatore dei Greci, tutto quello che restava del nostro ricchissimo patrimonio artistico e monumentale. Nasceva così il primo Museo del dopo terremoto cui seguiva la sede attuale.
Non tutte le centinaia di magnifici reperti composti da stemmi, epigrafi, frammenti architettonici, fontane, sculture, intere facciate di chiese e palazzi, poterono trovare posto nella nuova struttura museale e così, la grandissima parte di questi reperti continuò ad essere ammassata nella famigerata adiacente spianata-lager di viale Annunziata, esposta al notevole degrado degli elementi naturali che, col cancro del marmo, in oltre un secolo di abbandono ne stanno minando gravemente l’esistenza.
Si tratterebbe, perciò, di prendere una coraggiosa ed intelligente decisione, che finora è stata osteggiata o tiepidamente tenuta in considerazione solo in sporadiche occasioni. Quella, cioè, di riportare il maggior numero possibile di opere, nella loro sede naturale, che era la città, ritornando a vivere nei luoghi d’origine, oppure in zone ad essi limitrofe (strade, piazze) o restituite alle chiese dove erano conservate (almeno tutta quella parte di reperti che nel nuovo ordinamento museale non ha trovato posto nelle sale del Museo Regionale).
Ciò contribuirebbe notevolmente, oltre che alla completa fruizione di queste opere d’arte, a ricucire sporadici brandelli di un tessuto che ridarebbe a Messina una parte del suo originario splendore, creando autentiche “isole” di arte e di storia.
Si tenga altresì presente che il Museo di Messina rappresenta un caso atipico ed eccezionale nel panorama di tutte le strutture museali del mondo dal momento che è in realtà l’”ossario” di una città, poiché la gran parte delle opere che custodisce non facevano parte della dotazione del museo nel monastero di San Gregorio prima del sisma del 1908 e che, ancora, gran parte delle opere custodite sono di proprietà della città o delle chiese, prelevate dai siti d’origine nel periodo immediatamente successivo al terremoto per essere custodite, “provvisoriamente”, nella vecchia filanda Mellinghoff e nella spianata annessa del San Salvatore dei Greci.
Prima del sisma Messina era, inoltre, letteralmente tappezzata di targhe marmoree che, con sintetiche ma esaurienti epigrafi, ricordavano avvenimenti, antiche vestigia e personaggi illustri che onorarono la città in diversi settori.
Dopo le distruzioni (non moltissime) e demolizioni dell’uomo (moltissime) del tessuto urbano cittadino, la calata dei nuovi vandali, la negazione della memoria storica e la definitiva rottura con tutto ciò che apparteneva al passato, targhe e lapidi fortunatamente vennero recuperate ed oggi giacciono dimenticate nell’abbandono nei depositi o inutilizzate nella spianata a cielo aperto della struttura museale. Potrebbero, ora, uscire dal ghetto nel quale si trovano per essere ricollocate nel tessuto urbano, restituendo dignità storica e coscienza civica ad una città che ne ha tanto bisogno.
E così, fra le tante altre, potrebbero essere restituite alla città, con minimo impegno e costo zero, la targa a ricordo del soggiorno di Johann Wolfgang Goethe nel Palazzo Brunaccini, dal 10 al 13 maggio 1787 (il Palazzo Brunaccini dei Principi di San Teodoro si trovava sul Corso Cavour, dove oggi sorge l’isolato 267); la targa a ricordo dell’arch. Giacomo Minutoli all’interno dell’originario Palazzo Municipale (da ricollocare nell’atrio di Palazzo Zanca); la targa monumentale, commemorativa di Umberto I di Savoia (prima del sisma del 1908 era collocata sulla facciata della Casa Vitali in via Garibaldi, accanto al Teatro Vittorio Emanuele, dove nel 1881 alloggiarono Umberto I, Margherita e il Principe di Napoli. Oggi, al posto della Casa Vitali, sorge Palazzo Vaccarino corrispondente all’isolato 367); i marmi con epigrafi dell’antichissimo Fonte del Pozzoleone, nel prospetto laterale del Teatro Vittorio Emanuele nell’omonima, attuale via Pozzoleone; le due targhe monumentali poste nella facciata della Cattedrale, ai lati del portale maggiore, commemoranti avvenimenti cittadini sotto il regno di Filippo IV nel 1648; la lapide a ricordo di Rosa Donato, la “Cannoniera del Popolo” eroina della rivolta antiborbonica del 1847-48, apposta sulla facciata del settecentesco Palazzo Fiorentino in via Primo Settembre insieme alla lapide a ricordo della Convenzione di resa di parte borbonica fra i generali Medici e De Clary il 28 luglio 1860 (al posto del Palazzo Fiorentino, oggi, sorge l’isolato 312); la lapide in Piazza Roma collocata nel 25° anniversario della Breccia di Porta Pia, con testo di Tommaso Cassisi (oggi Piazza Stazione); la targa della Trovatura di Via Cardines (antichissima iscrizione in caratteri oschi, da ricollocare nell’attuale via Cardines, in copia); la lapide sovrastante il portale della Zecca, datata 1626 (prima del 1908 in via Cardines, oggi via Cesare Battisti); targa col medaglione raffigurante il Vicerè Eustachio Laviefuille, pregevole opera scultorea di Giuseppe Buceti del 1753 (In origine sullo spigolo del palazzo che dava inizio alla Palazzata in piazza Palazzo Reale. Nel 1988 ricollocata sullo spigolo lasciato apposta smussato della moderna Palazzata, is. 341. Pericolante per la mancata manutenzione del Comune, è stato recentemente asportato e depositato al Museo Regionale).
In tal senso si era impegnata, nel 2019 a proprie spese e cura, l’”Associazione Centro Storico” in sinergia col Comune e col Museo ma non ottenne nulla.
Basta poco, insomma, e un pizzico di buona volontà per fare ciò: un vero atto d’amore nei confronti della nostra sfortunata città.
Nino Principato
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