I NOSTRI MONUMENTI
Statua di Re Carlo III di Borbone
Quasi all’inizio (o alla fine) di via I° Settembre, in piazza F. Cavallotti , davanti al palazzo della Camera di Commercio, bell’edificio degli anni ’20 dell’arch. C. Puglisi Allegra, in un’aiuola all’ombra di una secolare magnolia, troviamo il monumento al re Carlo III di Borbone. Fu eseguito nel 1859 dal messinese Saro Zagari, scultore vissuto lungamente a Roma, formatosi alla scuola di Pietro Tenerani ma attivo anche in città, negli stessi anni infatti realizza Il Tempo che scopre la Verità e Messina, gruppo marmoreo che corona il Teatro Vittorio Emanuele.
La scultura sorge su un piedistallo cilindrico decorato a festoni e rappresenta in stile neoclassico il giovane sovrano in abiti regali, ricchi di dettagli, che guarda verso il basso.
Inizialmente fu sistemata in una piazzetta del quartiere S. Leo, lungo la via Ferdinanda (oggi via Garibaldi), sita poco prima delle vecchie mura e già occupata in precedenza dalla fontana costruita da Giovanni Famà nel 1793. Quello stesso anno, con l’entrata in città dei Garibaldini, furono distrutte le Statue di Francesco I° e Ferdinando I°. Fortunatamente le altre due statue, quella di Ferdinando II e quella di Carlo III furono poste in salvo per ordine del generale Medici.
Il monumento conservato a lungo in luoghi diversi (evidenzia Salvino Greco nel libro “Messina medievale e moderna” che il piedistallo si trovava in un cortile di Casa Pia mentre la statua venne sistemata prima all’Università e poi al Museo) fu posto in Piazza Cavallotti nel 1970.
In realtà un primo monumento a Carlo III era stato inaugurato nel 1757 alla presenza delle autorità. La scultura eseguita dal messinese Giuseppe Buceti era stata costruita su modello di Jean Jacques Caffièri su basamento del Vanvitelli in bronzo ricavato dalla fusione della statua dell’imperatore Carlo VI d’Austria.
Si ha notizia che le statue di Carlo III e di Don Giovanni d’Austria furono danneggiate dal terremoto del 1783 e risistemate poco dopo grazie all’intervento promosso dal generale Giovanni Danero.
Carlo III di Borbone giunse a Messina nel marzo del 1735, uno storico contemporaneo C. D. Gallo ne descrive l’entrata in città con incredibile fasto; dopo due giorni trascorsi presso il monastero del SS. Salvatore (attuale Museo Regionale) re Carlo entrò a Messina, ovunque accolto festosamente con archi trionfali, arazzi e fiori fino alla p.zza San Giovanni incorniciata da 60 archi dipinti con quadri e adorni di fiori; nella vasca dell’Abbeveratura, al centro della piazza, una galea con le vele spiegate. Il re rimase circa due mesi a Messina per poi recarsi a Palermo dove fu incoronato il 30 giugno.
Nel 1970 la Statua di Carlo III di Borbone è stata restituita alla città e collocata sul sito dove si trova tuttora.
STORIA
Divenuto re per investitura paterna con il nome di Carlo III, il nuovo sovrano si accinse ad intraprendere la conquista della Sicilia, allora dominio degli Asburgo d’Austria. La mattina del 29 agosto 1734, riporta Salvatore Calleri in “Messina moderna”, le truppe borboniche sbarcarono tra Torre Faro e Grotta; proteggevano lo sbarco le navi spagnole giunte nello stretto, schierate fra S. Agata e la Grotta, al comando del generale De Marcillac. Il comandante delle truppe austriache, principe di Lubkovitz, si chiuse con i propri uomini nella Cittadella e nelle principali fortezze, affidando alla cittadinanza la difesa della città. A tal proposito si conviene ricordare il comportamento del Barone Cattafi rievocato brillantemente dalle parole di Giacomo Crescenti nelle “Historie messinesi”: “[…] Questi (Lobkovitz) allora pensò di ridursi coi suoi nella cittadella.
Ma prima volle far sottoscrivere al Senato taluni patti, di cui il principale era che la città s’impegnava a respingere gli Spagnuoli con tutte le sue forze. Parve a tutti inaudita tanta pretesa. E quando il Tedesco venne nel Consiglio della città a esporre il suo progetto, il barone Cattafi gli disse: <> E il Lobkovitz: <> <> esclamò indignato il Cattafi. Questa risposta e il contegno risoluto ed energico del Cattafi, indussero il generale austriaco a rinunziare a quella imposizione, e così i patti furono sottoscritti. E quando il Consiglio fu sciolto, il Lobkovitz non potè fare a meno di dire al Cattafi: <>[…]“. La prima fortezza attaccata, durante il breve assedio, fu quella di Gonzaga, la quale, avendo sostenuto il fuoco, dopo sette giorni si arrese. Il vessillo del nuovo re Borbone apparve poco dopo sulle fortezze di Castellaccio e di Matagrifone. Altri giorni di fuoco ci furono ancora; dopo, gli Austriaci abbandonarono i capisaldi di Terranova e del Palazzo Reale, ritirandosi nelle due fortezze della Cittadella e di SS. Salvatore. Il 7 settembre 1734, finalmente, i rappresentanti del Senato, recatisi al campo del De Marcillac, trattarono la consegna della città; questa avvenne nel pomeriggio, mentre la sera ci fu l’ingresso solenne, in Messina, delle truppe borboniche.
Primo atto del nuovo governo fu l’abolizione, sancita con ordinanza del 10 ottobre 1734, di quattro gabelle, pesante eredità delle precedenti dominazioni. Eccole riportate da Salvatore Calleri: “Quella di tarì 21 per ogni salma di frumento che si produce nel territorio di questa città, di tarì 10 e 10 per salma di germano, e di tarì 4 e 10 per ogni salma di orzo di detto territorio. Quella di grana 36 per ogni libra di seta al mangano. Quella di tarì 4 per ogni salma di vino e mosto che si produce nel territorio di questa città. E quella di tarì 1 per ogni cafiso di olio che si esce dal tinello”. Si aggiungeva ancora nella predetta ordinanza: “Ed in iscambio di dette 4 gabelle si restituisce al patrimonio della medesima e passa all’Illustrissimo Senato l’antica gabella propria di suo detto patrimonio, di tarì 1 e 10 sopra l’estrazione delle sete che si estraggono da questa città per fuori regno, per applicarla alla soddisfazione dei bimestri dei soggiogatori ed altri secondo l’antico sistema. Come anche si dichiara restare sotto l’amministrazione dell’Illustrissimo Senato le gabelle del patrimonio di questa città, ed ogni altro che teneva ed amministrava in tempo del governo dell’Ill. marchese di Lede, sperando S.E. che questa città e suoi fedelissimi popoli, seguendo a dare nelle presenti contingenze di tempo le stesse e maggiori prove del loro buon zelo, attenzione e fedeltà verso la prefata maestà del suo Sovrano, non solo la M.S. si degnerà approvare e confermare le predette grazie, ma sarà anche per concedere le maggiori esenzioni e prerogative, per segno e ricompensa della real sua gratitudine e munificenza, come S.E. con tutta la sua cooperazione ed impegno si compromette di facilitare ed impetrare dalla prefata M.S.. Intanto ha ordinato di pubblicarsi il presente bando, acciò ne abbia ognuno la scienza e notizia delle riferite grazie, e non altrimenti né in altro modo”. Queste norme si inquadravano nell’azione di governo del nuovo sovrano borbonico, mirante a mitigare i tributi e a destinarli quasi completamente ai bisogni locali.
Il 9 marzo del 1735 Carlo III sbarcò a Messina presso il palazzo detto del Paradiso. Si concorda con Enrico Mauceri e Salvatore Calleri nell’indicare che solo la descrizione data da Caio Domenico Gallo, negli “Annali della città di Messina”, poiché contemporaneo dell’evento, può renderci minuziosamente i particolari dell’arrivo del Sovrano: “[…] Accolse subito al bacio della mano il Senato della Capitale della Sicilia, Messina, che fu la prima a ricevere l’onore d’inchinarsi al suo monarca, e riceverlo, indi la nobiltà, al rimbombo ed applauso giulivo di un mondo intero, che acclamava il nome di Carlo Borbonio, sintantochè fu condotto nel real monastero archimandritale del SS. Salvatore dei Padri di S. Basilio, fabbrica bellissima, situato sopra delizioso poggetto sulla spiaggia peloritana, non più distante di un solo miglio dalla città.[…] Il giorno 11 marzo fu memorabile per l’ingresso veramente trionfale del re. […] Soltanto diremo con brevità, che squadronata la milizia tutta, ripartita in doppie file per le strade che far doveva il monarca, si partì questi dal monastero del Salvatore, marciando innanzi a lui la cavalleria Verde del reggimento Maurù; indi seguiva la numerosa nobiltà a cavallo, titolati, comandanti, uffiziali supremi, e nel mezzo il re, con appresso le guardie del corpo ed i grandi equipaggi.[…] Seguiva una moltitudine innumerabile di popolo dietro il monarca sempre gridando: Viva il re.[…]“. Matilde Oddo Bonafede, nel “Sommario della storia di Messina”, scrive in proposito che gli entusiasmi del popolo messinese, gli archi di trionfo, gli abbellimenti delle piazze e delle vie, le musiche, le funzioni ecclesiastiche, tutto fu grande e degno del re. Conclude dicendo che “questo popolo cercava pace e la sperava dal governo del nuovo monarca”.
Il re si recò a visitare le fortezze di Gonzaga e Matagrifone. Giunto il tempo in cui il presidio austriaco avrebbe dovuto evacuare, stando ai patti stabiliti, la Cittadella, il re volle assistere dall’alto del palazzo reale alla consegna delle fortificazioni, prima, e poi, il 31 marzo, all’uscita delle truppe nemiche dalla città e dal forte del SS. Salvatore. Il 1° aprile, alla Cattedrale, in un solenne Te Deum, officiato dall’arcivescovo, alla presenza del Sovrano, si volle ringraziare Iddio “per l’allontanamento del nemico”.
Il sovrano si fermò a Messina fino al mese di maggio, mostrandosi religiosissimo, sempre buono con tutti e a tutti accessibile. Fu cultore della caccia e della pesca che diventarono i suoi passatempi preferiti. Lasciata la città mamertina e successivamente la Sicilia, il governo dell’isola venne affidato ad un vicerè. La sapiente amministrazione di uno di questi, Eustachio duca di Laviefuille, valse a far togliere alla città, che tante distruzioni e spoliazioni aveva sofferto, tutte le gabelle tranne quella della seta e a far restituire interamente la dignità al Senato. Sembrava, così, che Messina potesse riprendere la sua posizione di punta nell’esercizio di attività commerciali e industriali, per contribuire degnamente al rilancio economico isolano. Anche il re ne appariva convinto tanto che dispose, con un provvedimento del 2 marzo 1737, che si prendesse in considerazione, con opportuni studi, l’idea di restituire a Messina tutte le sue prerogative e rinnovarne l’attività commerciale in modo da farne un emporio mercantile centrale nello svolgimento dei traffici del Mediterraneo.
Buona parte dei provvedimenti emanati da Carlo III durante il suo regno, per migliorare le condizioni di vita isolana e messinese particolarmente, si rivelarono purtroppo di scarsa efficacia; ne sono la prova per la nostra città le condizioni di vita in cui si trovò la popolazione in occasione della peste del 1743. Non ebbero esito migliore i provvedimenti per rilanciare l’attività industriale delle fabbriche di carta, di sapone e di maiolica, nonché delle aziende collegate all’agricoltura e alla produzione del baco da seta. Connesso al discorso sulle industrie è quello sul commercio. Carlo III creò una Suprema Magistratura del Commercio col compito di sovrintendere alla marina mercantile e alla costruzione di navi, controllare la riscossione delle imposte doganali, le comunicazioni interne, le miniere, la pesca, l’industria del sale, raccogliere dati statistici nei vari settori dell’economia compreso quello dei debiti privati e della loro insolvibilità per le conseguenze che potevano derivarne al commercio. Dopo sette anni, su continue proteste dei siciliani, in particolare, osserva Denis Mack Smith nell’opera “Storia della Sicilia medievale e moderna”, delle città di Palermo e Messina, alla Magistratura venne tolta gran parte della sua autorità.
Il re borbone riuscì, comunque, a varare dei provvedimenti positivi, come quello dell’unificazione della moneta siciliana e napoletana, per la repressione del contrabbando, per diminuire i balzelli sui generi di prima necessità, per incrementare i rapporti economici con l’Oriente mediante la stipulazione di trattati commerciali con la Turchia e Tripoli, per riorganizzare la finanza, la polizia, la giustizia e, infine, per aiutare i bisognosi e i diseredati mediante la creazione di un albergo dei poveri a Palermo e di un Istituto per gli Illegittimi.
Proprio il trattato stipulato il 7 aprile 1740 con la sublime Porta Ottomana comprova che il re veramente volesse far prosperare il commercio in Messina. Esso, riporta Matilde Oddo Bonafede, diceva: “[…] sarà lecito alla Porta Ottomana per la sicurezza e tranquillità dei suoi sudditi e mercanti, stabilire nei domini del re delle Due Sicilie, un procuratore vulgo sach Bender detto, per risiedere nella capitale di Messina, e li mentovati sudditi della fulgida Porta saranno rispettati e privilegiati, come lo saranno quelli del medesimo serenissimo re nell’impero Ottomano […].”
Narra Caio Domenico Gallo nei suoi “Annali della città di Messina” che il Senato messinese, volendo manifestare la propria gratitudine nei confronti del re Carlo III considerato quale benefattore della città di Messina, affidò allo scultore messinese Giuseppe Buceti l’esecuzione di una statua in bronzo, sul modello del celebre Giovan Giacomo Caffieri, rappresentante in dimensioni poco più grandi di quelle reali l’illustre monarca. La statua, dell’altezza di undici palmi e mezzo, venne gettata in bronzo (per motivi di economia, sottolinea Salvatore Calleri, con il bronzo ricavato dalla statua dell’imperatore d’Austria) nella fonderia imperiale di Carlo V, per opera dei messinesi Giuseppe Lo Gullo e Giuseppe Arcuri, e collocata sin dal 1756 nell’anfiteatro marittimo, sopra un piedistallo triangolare di marmo, in attesa dell’inaugurazione. Questa avvenne, come ricorda Enrico Mauceri nel libro “Messina nel Settecento”, il 13 marzo 1757, in occasione della nascita del figlio del sovrano, alla presenza del Senato, del governatore principe di Villafranca e delle milizie regolari ed urbane che, quale atto di ossequio al sovrano, effettuarono ripetute scariche di fucileria mentre la Cittadella, le fortezze della città ed i bastimenti stranieri che si trovavano nel porto facevano tuonare i loro cannoni.
Appena scoperta la statua reale, prosegue il Gallo nel suo racconto, vennero collocate innanzi ad essa moltissime candele che rimasero accese per parecchie notti; inoltre, volendo che tutto il popolo messinese partecipasse ai festeggiamenti, furono fatte scorrere verso le due porte laterali del palazzo senatorio alcune fontane di vino e fu consentito ad ogni cittadino di attingerne quanto più gli fosse possibile. I festeggiamenti proseguirono per quattro giorni, durante i quali non mancarono pubbliche e private illuminazioni, pubbliche preghiere, feste da ballo e tutto quanto poteva rendere più lieta e commovente la cerimonia.
Scrive Gaetano Oliva, continuatore dell’opera storica di Caio Domenico Gallo, negli “Annali della città di Messina”, che nel 1852 il Collegio Decurionale, in seguito alle concessioni fatte dal re Ferdinando II in favore della città di Messina, deliberava il rifacimento delle statue dei sovrani borbonici distrutte nel corso degli eventi del 1848: fra queste c’era anche la statua di Carlo III.
Nel 1853 fu affidato al messinese Saro Zagari, mantenuto dal Comune alla scuola di Pietro Tenerani ed operante in Roma, l’incarico di scolpire in marmo la statua. Il lavoro, di grande impegno artistico, fu eseguito a Roma nel 1859. Il 18 gennaio 1860, con i consueti festeggiamenti in onore della dinastia borbonica, l’opera, alla presenza delle Autorità cittadine e di molti curiosi, fu inaugurata e sistemata in una piazzetta del quartiere S. Leo, lungo la via Ferdinanda (oggi via Garibaldi), sita poco prima delle vecchie mura e già occupata in precedenza dalla fontana costruita da Giovanni Famà nel 1793.
La presenza della statua risultò effimera: appena pochi mesi dopo venne salvata a stento dalla distruzione, sorte toccata a quelle di Francesco I e Ferdinando I che si trovavano in Piazza Duomo per opera di esaltati messinesi, grazie all’intervento della pubblica autorità che operò il trasferimento dell’opera, insieme a quella di Ferdinando II, al Civico Museo.
Conservato a lungo in luoghi diversi (evidenzia Salvino Greco nel libro “Messina medievale e moderna” che il piedistallo si trovava in un cortile di Casa Pia mentre la statua venne sistemata prima all’Università e poi al Museo) fu posto in Piazza Cavallotti nel 1970. Nel 1990 fu spostato in avanti di 5-6 metri perché la frondosa chioma dell’albero che gli sta alle spalle nascondeva quasi interamente la statua alla vista del pubblico. E qui lo vediamo quotidianamente, raffigurato vestito da una corta corazza e fregiato da varie decorazioni, coperto da un grande mantello riccamente decorato. La sua figura si erge su un elegante piedistallo cilindrico, privo di iscrizioni, ornato da grandi festoni di gusto neoclassico.
La storia di questa statua, il luogo ove si trova e l’anonimato in cui versa, non rendono sicuramente il giusto merito ad un sovrano che tanto ha fatto, o comunque provato a fare, per la Sicilia ed in particolare per la città di Messina. A memoria resteranno eterne le parole dei cronisti e degli autori che accompagneranno il lungo viaggio nel tempo della ormai silenziosa marmorea scultura.
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