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LA NOSTRA CUCINA

U Piscistoccu “storia di putii du manciari”

Tra gli anni 1545-1563 un grande avvenimento di rilevanza straordinaria, quale appunto il concilio di Trento , aveva gettato le premesse su taluni comportamenti essenziali , alle quali ogni buon cristiano era tenuto ad osservare scrupolosamente. Tra le tante cose, si sanciva la regola sul mangiare di magro, di cucinare il pesce ogni venerdì, nel periodo di Quaresima ed in alcune vigilie di feste. Con un termine attuale, possiamo ben comprendere quale dovette essere la richiesta di questo alimento, in special modo nei paesi interni, dove nessuno aveva mai visto le azzurre acque del mare. Nello stesso periodo, allora anche i mercati reagivano bene alla domanda, ecco arrivare dalle lontane terre del nord, grossi bastimenti a vela adibiti al trasporto di un particolare pesce,che ben si conservava sotto sale, oppure essiccato ai venti freddi delle isole Lofoten. Il Gadus Morrhua ,ossia il nostro pescestocco ,raggiunge in breve tempo una grande notorietà in tutta la penisola ,dal Veneto alla Liguria, dalla Campania sino alla Sicilia. Fatto molto strano, appare subito all’occhio anche del meno esperto, pensare che nella nostra città, situata lungo le coste del mar Ionio e Tirreno, dove la fauna ittica è stata sempre molto abbondante,questo pesce diventi quasi a pieno merito, l’emblema della cucina locale. Rispetto alle altre province Siciliane, dove si preferisce adottare il baccalà, Messina diviene il sito per eccellenza (concedetemi questa mia affermazione). Qui l’estro creativo per la preparazione delle pietanze, la lavorazione preventiva dell ‘ammollo, il modo di saper determinare i vari tagli, sia della carne, sia del pesce,diverranno i presupposti fondamentali di un’ antica tradizione culinaria. Orbene,conoscendo qualche scampolo di storia locale, possiamo determinare come ogni dominazione straniera, i continui traffici commerciali che avvenivano nel nostro porto, abbiano contribuito non poco, a rendere più variegata la nostra cucina. Ed è proprio,in questo contesto di creatività che nasce la sublime “ghiotta” arrivata sino a noi con gli stessi profumi Mediterranei di tanti secoli fa, quali appunto: i capperi ,le olive bianche in salamoia,la cipolla, il sedano e il fresco pomodoro delle nostre contrade. Ma tutto ciò non basta! L’estro creativo fa nascere dalle menti e dai fornelli dei nostri antenati, dei piatti unici, tanto che il Nostro pesce assumerà dei sapori impareggiabili, distinguendosi per bontà delle sue carni, persino dal gustosissimo Pescespada. Premessa fatta, immaginate per qualche istante di trovarvi come catapultati in quella Messina Ottocentesca, rasa al suolo dal terribile terremoto del 28 dicembre 1908. La vita commerciale di questa meravigliosa città, ricadeva proprio nel suo porto, dove attraccavano centinaia di navi di ogni nazionalità e la cornice fantastica dell’enorme Palazzata, immetteva ,con le sue numerose porte, i viandanti sulla Via I° Settembre e via Garibaldi. Ed intorno proprio alla zona del paraporto, insistevano appunto, tantissime “putii di manciari”, dove era possibile poter gustare, sin dalle prime ore dell’alba dei piatti di squisito pescestocco. Clienti abituali erano proprio i poveri “scaricaturi i pottu”, che comprendevano bene come un ‘ottima porzione di pescestocco avrebbe ridato loro, forza e vigoria. Altre trattorie sparse al centro della città intorno al 1875 erano: Coppolino Antonio al Duomo, Gentile Pietro in via S.M. La Stella, Rizzo Bartola in via Appalto , Sicilia in via Neve, Raimondi Domenico via Bocca Barrile ecc.., questi preparavano per i clienti più esigenti il pescestocco in bianco con patate, ad insalata crudo con pomodoro e cipolla, meravigliose ventri ripiene, arrostito con pomodori a scocca, o a tuttu dd’intra chi patati. Il menù giornaliero comprendeva tantissime altre portate di altro genere che non ritengo giustamente di menzionare per non allontanarci dal nostro tema. Ma più di ogni altra” putia”, è doveroso segnalare quella mitica di Don Pitruzzu a l’opira , gestita don Pietro Mondello. Situata anch’essa nella zona del paraporto, dove oggi ricade pressappoco l’attuale Banco di Roma, incrocio con la via Darsena, in questa tipica trattoria Messinese si respirava il profumo di sammurigghi, del vino che gocciolava dalle botti, l’odore continuo di soffritto di pescestocco. Il chiasso di carritteri, di pottuali ,dei monelli che schiamazzavano nella vicina piazza del Campo, il fischio del tram che transitava lungo il corso Vittorio Emanuele ,ci trasportano in tempi a noi ormai tanto lontani. Molte erano anche le botteghe all’ingrosso ,dove si vendeva il pescestocco al minuto, come ad esempio in via Garibaldi al n°17 ricadeva la rivendita di Crisafulli Natale, in via Varese n° 104 quella di Romano Salvatore & figli ,in Via San Giuseppe n°23 quella Zanghì Letterio fu Paolo. Solo come curiosità locale, la tariffa dell’amministrazione dei dazi al consumo comprendente la seguente merce : baccalari ,merluzzo, stoccafisso e tonno salato, era in quel periodo di L. 14,40 per quintale. Altre notizie che ci fanno capire meglio l’importanza commerciale di questo prodotto ittico, sta nel fatto, che negli elenchi dei periti commerciali della camera di commercio ed arti, si annotano,sul finire del secolo scorso, oltre alle moltissime professioni, quali ad esempio il perito marittimo, di genere di moda, di pesi e misure, di prodotti chimici ,anche i periti di stoccopesce e baccalà, essi erano rappresentati dai Sigg. Mannelli Gaetano ,Rizzotti Antonino, Romano Alfredo e Romano Francesco fu Salvatore. Ma ahimè, con il tremendo sisma del 1908, perirono sotto le macerie oltre settantamila morti, tanto che in pochi secondi la bella e tanto cara Messina fu rasa al suolo con i suoi ricchi palazzi, chiese e monumenti. Ma oltre all’immensa catastrofe umana, ciò che si perdette per sempre, fu LA VERA IDENTITA MESSINESE, UN TESORO DI TRADIZIONI, DI CULTURA, MAI PIU RECUPERABILI. Non ci rimase che piangere, su questa nostra grande sciagura. Dopo diversi anni ,ecco apparire nuovamente sul rinnovato porto di Messina, un piroscafo carico di pescestocco. La tradizione culinaria, tramandataci dai nostri avi,continuava a perpetuarsi anche nei miseri fornelli ,all’interno delle baracche di Giostra o al piano delle Moselle, dove alloggiavano i poveri superstiti e la nuova generazione di Messinesi, nati dopo il terremoto. La città cominciava a cambiare volto, sorgevano i primi palazzi, e si dava inizio all ‘antiche attività commerciali. Così, nel lontano 1929 riapre nuovamente l’antica putia di Don Pitruzzu all’opira, gestita dal figlio del fondatore, Nunzio Mondello in Piazza dei Catalani di fronte alla statua di Don Giovanni d’Austria, qui vi rimarrà sino agli inizi degli anni sessanta. Ed ancora altri continuano la tradizione: Don Fidiricu, in via Centonze ,Don Fano via Risorgimento, Donna Giuvanna via dei Mille, Patri Natali in via Centonze, a Lastricheddu lungo il viale della libertà quasi di fronte allo stabilimento balneare “Vittoria”, Don Mommo viale Regina Elena, Costa al villaggio Annunziata, la cui moglie, molti anni fa, vinse, in una sfida gastronomica televisiva, tra Messina e Genova, condotta dal Veronelli ,grazie alla preparazione di una eccellente ghiotta di pescestocco. Anche la stessa tradizione ora le aveva coniato proverbi e motti che a tutt’oggi compaiono nella nostra meravigliosa parlata dialettale: ‘’sciroccu ,malanova e piscistoccu ,a Missina non mancunu mai!’’ Oppure nel senso metaforico si esclama sovente: ma facisti ‘na bella ghiotta! ‘U piscistoccu inchi ‘u vintriculu! Ddà pinna i piscistoccu è bella ‘nsagata! Ed ancora a seconda della qualità può risultare o pigghiatu d’acqua (troppo ammollato) o altrimenti bellu tritrignu, i picciriddi l’annu a manciari crudu bagnatu o sali. Altra caratteristica non trascurabile, sono stati in ogni tempo gli ammollatori, esperti conoscitori del trattamento dell’ ammollo e la successiva lavorazione di questo pesce. Essi suddividono il pesce per mezzo di una roncula ,e poi di questi viene tagliato a seconda dell’uso che se ne dovrà farne in cucina. Egli, infatti ,vi servirà a patti du cozzu ,per prepararlo ad insalata o arrostito, la parte centrale insieme alla gustosa surra, per l’inconfondibile ghiotta ,mentre la tenerissima parte caudale a cuda,per condirlo in bianco con le patate. Parimenti, questo pesce non viene pestato o tantomeno bastonato come si suol fare in altre regioni, qui si adopera un trattamento di tutto riguardo, quasi si accarezza all’atto di togliere la lisca centrale. Scusate il mio grande affetto, o per meglio dire la grande passione culinaria,che nutro verso questo pesce, ma tutto ciò è dovuto al fatto, che sono profondamente legato alle mie antiche origini Messinesi ,ed in particolare a questa meravigliosa città. Chiudo, con un accorato appello di giustizia, tanti libri di cucina, sia Nazionali, sia Regionali, mai hanno dato il giusto risalto alle nostre ricette locali a base di pescestocco, e ad intenditor poche parole. Noi non lo lasciamo a cuocere per ore, non immischiamo nè latte, tantomeno lo trituriamo con tutte le spine, per poi consumarlo, ma ne esaltiamo la bontà con tantissimi aromi nostrani. Ed infine un meritato plauso vada all’AAMP,che in questi anni ha saputo mantenere in vita un magnifico sodalizio, sempre nel segno della più viva tradizione culinaria Messinisi.
Buon appetito cu nostru piscistoccu a Missinisa !


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