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Le industrie messinesi del cuoio e dei pellami in epoca borbonica.

Secondo alcuni demagoghi, storici, ricercatori, tutti concordi ad affermare che al tempo in cui regnarono i Borbone la Sicilia venne vessata in ogni modo, perseguitando i suoi cittadini, azzerandovi il commercio in ogni sua forma, l’industria, il credito, la finanza e soprattutto la “politica”. Allora i siciliani se la passavano davvero male. Secondo questi esperti, la persecuzione in Sicilia fu fatta sistema, e i siciliani conobbero una tirannia che non ebbe eguale nel passato. In forza di tali affermazioni inserisco qui, uno spaccato di politica commerciale e industriale di una delle città siciliane, per “esaltare la tirannide borbonica in Sicilia” e dare ragione alla pletora di storiografi, che ingrossano le fila degli scontenti. Osservate come questa dinastia vesserà i messinsi perchè questi ultimi, furono talmente danneggiati da arricchirsi come mai era accaduto in passato. E quella ricchezza fu il pretesto per i sovrani napoletani, di difendere il buon nome del commercio e dell’industria sicula in Italia, in Europa e nel resto del mondo civilizzato.

Da fonti siciliane si apprende che nel 1852 esistevano a Messina un discreto numero di stabilimenti industriali di conceria, dove si lavoravano grossi cuoi delle grandi e piccole pelli di vitello. Da fonti doganali si individuano in quella data le fabbriche: di Giovanni e Pasquale Lanza, Giovanni Soraci junior, Domenico Sturniolo, Bonaviri e Cinturini, Gaetano Loteta, Domenico Trombetta, Giuseppe Portovenero, Francesco Trombetta, Giacomo Loteta, fratelli Ottaviani, Biasini e la Vecchia, Litterio Andronico di Stefano. La più considerevole di queste fabbriche cioè quella degli Ottavini, realizzava annualmente la lavorazione di 25.600 pelli di ogni specie e occupava 143 operai. Gli stabilimenti tutti di Messina riuniti, producevano: 35.600 grossi cuoi, 14.400 piccoli cuoi, 4.800 pelli di vitello, 10.700 pelli di vitellino. In totale producevano 65.500 pelli di ogni genere. Il guadagno si otteneva calcolando il peso e la manifattura che era stimata come segue: 5 grossi cuoi corrispondevano a 79,3 kg; 11 piccoli cuoi corrispondevano a 79,3 kg. La paga era di 12,75 once giornaliere per 302 operai impiegati in questo settore, che producevano ogni anno circa 1.000.000 di kg di prodotto lavorato nella sola Messina. A fronte della produzione annua, di 1.112.000 kg di tutto il Piemonte e della produzione annua, di 2.200.000 kg di tutta la Lombardia. Le notizie commerciali qui prodotte estrapolate dalla Rivista Contemporanea nazionale italiana, stampata a Torino permettono di avere un quadro economico del settore già a partire dal 1858. Una quantità presso che identica fu prodotta a quella della sola Messina, nel restante parte insulare del regno di Napoli, quando in tutta la Sicilia, Messina compresa, se ne producevano 2.000.000 kg l’anno. Si conosce da altre fonti, che il guadagno fu calcolato non sulle pezze conciate, ma sull’unità di peso espressa in kg di pelle prodotta. Seguendo un filo logico, a parità di merce e di costi di base, applicando questo criterio al coefficiente determinato, fra la differenza di merce venduta e acquistata dal regno Napoletano (1.317.000 divisa 1.054.000), si ottiene la differenza per ogni kg trattato pari a 1,2495 fr, attraverso il quale poter determinare il valore simbolico del guadagno dei cuoi prodotti da Messina: 780.167,81 kg (voce prodotta tenendo bene a mente i parametri di 11 pelli piccole pari a 79,3 kg, e 5 pelli grosse pari a 79,3 kg, moltiplicate per il totale delle pelli lavorate 65.500). Dividendo il totale su espresso con quell’indice 1,2495 si determina il valore di fr. 6.226.624,8. L’indice qui messo in evidenza, deve prevedere un rapporto positivo, fra la merce acquistata dai produttori messinesi rispetto a quella venduta, trovando un guadagno dalla differenza di entrambe le voci economiche. Se questo calcolo fosse rispettato, avremmo oltre sei milioni di franchi di guadagno effettivo. Che ulteriormente valutato al cambio del 1859 tra franchi e ducati darebbe: 1 Fr. = 4,25 ducati, ossia 1.465.088,1 ducati. Ricordando fra l’altro, che il franco francese e la lira piemontese si eguagliavano rispetto alla moneta duo siciliana. Particolare interesse suscitano le direttive sul valore del salario dei conciatori messinesi su una giornata lavorativa della durata di 10 ore, su 25 giorni lavorativi: 428 duc. : 302 op. = 1,42 ducati (paga individuale); pari a : 1,42 x 25 = 35,5 ducati. Si che si deduce che un operaio attivo nel comparto delle concerie messinesi guadagnasse poco più di 35 ducati mensili. La lavorazione delle pelli a Messina possedeva durante il regno borbonico un antico retaggio. Le particolari condizioni doganali e il Porto Franco consentirono lo sviluppo dei primi impianti conciari già a partire delle prime decadi dell’ottocento. Da ricordare gli stabilimenti: di Giovanni Placanica fabbrica fondata nel 1832, così quella di Luigi Minutoli risalente al 1834, di Giuseppe Morganti e compagni del 1835, di Giovanni Caminiti costituita nello stesso anno, quella di Flavia Vadalà del 1836, non che di Giuseppe Alessi del 1843. Alcune di queste fabbriche furono riconvertite cambiando di statuto, vedi il caso Trombetta-Vadalà, altre si fusero tra loro perché nel 1850 i volumi dell’export crebbero talmente tanto, da richiedere una maggiore manodopera specializzata e magazzini più capienti. Tutta la filiera della conceria competitiva e florida sotto i Borbone, subiva un brusco arresto già nei primi quattro anni successivi all’unità italiana, con la decurtazione del volume prodotto pari al 50%, ma che era destinato a una ulteriore decadenza dopo la soppressione del Porto Franco di Messina nel 1868, dal quale passavano i due terzi delle lavorazioni destinate ai mercati europei e americani, subendo un ulteriore caduta del 40%. Già nell’ultima decade dell’ottocento gli stabilimenti messinesi per la concia si erano ridotti a due unità. Dopo il 1895 con l’aggravio ulteriore di imposte e tasse, un’ulteriore parte di quella industria decadde, sancendo la fine di uno dei rami più proficui dell’industria messinese durante il regno duo siciliano. I dati storici ed economici provengono dal volume: Messina la Capitale dimenticata. Magenes 2018, pp. 161, 162, 163, 164.

A ulteriore sviluppo della documentazione prodotta dalla burocrazia dei Borbone, aggiungo alcune tracce di legislazione commerciale, legate al mondo della contraffazione in ambito extra siciliano, allegando in modo particolare, tracce di documento estrapolato dal Pubblico Archivio della Dogana di Messina, era costantemente impegnato a scovare le ripetute truffe ai danni dei suoi prodotti, riconosciuti dagli speculatori come ‘Fabbricazioni di Alta Qualità’. Un esempio lo troviamo nella cedola dell’11 settembre 1835, segnata nel quaderno numero 123, nel numero di ordine 3028 a pagina 102 dove si leggeva: Decreto numero 3028 che accorda la facoltà per la collocazione per le pelli e per i cuoi della fabbrica di Giuseppe Morganti e compagni di Messina. Il bollo di cui si farà uso, avrà nel mezzo, l’emblema della Trinacria con la leggenda in giro — Regia Dogana di Messina — Fabbrica di pelli e cuoio di Giuseppe Morganti e compagni 1835.
In altri Decreti legge emessi dalle autorità del re Borbone, si individuano atti doganali simili della Dogana di Messina col medesimo intento del documento prima citato. L’obiettivo principale del sovrano fu quello di proteggere il commercio siciliano togliendolo dalle mani della speculazione, la dove si concentravano i finanziatori delle sette cosiddette rivoluzionarie ingrossate da tanti esuli siciliani che per amor di patria la Sicilia, puntavano a danneggiare il tessuto produttivo dell’isola per meri obiettivi politici di parte.
La Regia Dogana di Messina — fabbrica di cuoio di Giovanni Caminiti 1835. Luigi Minutoli 1834, Flavia Vadalà 1836, Giovanni Placanica 1832, Giovanni Soraci senior 1832, Giuseppe Alessi 1843, Giovanni e Pasquale Lanza 1852, Giovanni Soraci junior 1852, Domenico Sturniolo 1852, Bonaviri e Cinturini 1852, Gaetano Loteta 1852, Domenico Trombetta 1852, Giuseppe Portovenero 1852, Francesco Trombetta 1852, Giacomo Loteta 1852, fratelli Ottaviani 1852, Biasini e la Vecchia 1852, Litterio Andronico di Stefano 1852, Stefano Mazzeo 1854.

Aggiungo una ulteriore traccia nella quale rientrano i capi di industria messinese più ricchi, in grado di alimentare la finanza territoriale, incidendo nel mondo azionario e obbligazionario attivi sulle piazze: di Londra, Parigi, Francoforte, Berlino, Zurigo, Vienna e tante altre realtà europee.

Guglielmo Aveline,
Jean Baptiste Colondre,
Giuseppe Sella,
Diego Flaccomio,
Arcangelo Florena,
Giampaolo Fiumedinisi,
Giambattista Sciacca,
Placido D’Andrea,
Giuseppe Rizzotti,
Giovanni e Pasquale Lanza,
armatore Cambria,
Domenico Sturniolo,
Pietro Federico Alì,
Bonaviri e Centurini,
Guglielmo Laef,
Giuseppe Morganti,
Letterio Centorrino,
Ignazio Cimino,
Pietro de Coppolino,
Giuseppe Bosurgi,
Flli Ottavini,
Domenica de Angelis,
Antonino Donato,
F.lli Ruggeri,
Antonino Ziniti,
Gaetano Ainis,
Willelm Jaeger,
Lorenzo Salico,
Guglielmo Sanderson,
Alexander Robertson,
Demetrio Mauromati,
Giovanni Pulimeni,
Alexander Davidson e tantissimi altri.

CERTO, CE LA PASSAVAMO DAVVERO MALE SOTTO I BORBONE, E DA ITALIANI ABBIAMO CONQUISTATO IL BENESSERE, LA CIVILTà E IL PROGRESSO:

Di Alessandro Fumia


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