RISTORANTI, TRATTORIE, BETTOLE E CIBO DA STRADA: DEL MANGIARE, NEL PASSATO, A MESSINA
“Street food”, letteralmente “cibo da strada” come dicono oggi i giovanissimi. Ma i messinesi con qualche capello bianco ricordano quegli anni quando questo tipo di alimentazione non aveva etichette reboanti ma rappresentava una normale caratteristica della nostra città. E ricordano ristoranti, trattorie e bettole di un lontano passato ma ancora troppo vicino da dimenticare: e allora, rivediamoli questi cibi da strada e rivediamo quelli che furono i templi della cucina messinese.
Correva a Messina l’anno 1947 quando Pippo Nunnari inaugurava la prima “Rosticceria Salumeria” in via Nino Bixio; la seconda e, purtroppo ultima, sarebbe arrivata il 15 agosto del 1966, in via Ugo Bassi. Quell’imprenditore e quel locale con la cassa angolare e la cassiera minuta e gentile, ma di grande professionalità, e quegli chef incomparabili che realizzavano “doremi”, “mozzarelle triangolari in carrozza” ma anche ravioli panna e prosciutto e braciole di pesce spada, ancora non sapevano che avrebbero legato il loro nome, e per sempre, al mitico, unico, inarrivabile e divenuto proverbiale, “arancinu ‘i nunnari”.
Ma se l’arancino messinese aveva il suo naturale tempio nella rosticceria di Nunnari, il pitone fritto era celebrato dal grande Arena nel suo panificio di via Garibaldi in prossimità di piazza Municipio e, rigorosamente, con l’acciuga.
Mac Donald era ancora da venire quando Salvatore Triglia, nella sua bottega-salumeria di via dei Mille, negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, dispensava ai messinesi il suo “nettare degli dei”, “’u paninu i trigghia” dove non mancavano tonno, salumi, formaggi, melanzane sott’olio, pomodori secchi e carciofini che Triglia coltivava nella sua proprietà a Minissale.
Nel “pesciolino di pane”, “cibo da strada” per eccellenza, non poteva mancare il“piscistoccu ‘a gghiotta” la cui scelta non poteva che cadere o sulla “putia” di “Don Fanu” Epifanio Fiumara in Largo Risorgimento e Ilardo Caterina o sulla trattoria di “Don Pitruzzu all’Opira” in piazza Catalani.
Sulla focaccia messinese, ormai diffusissima in tutti i panifici, si diceva una volta, in una sorta di tormentone, “Quando l’ora di pranzo scocca, focaccia La Rocca!”.
Popolarissimi erano poi i cibi veramente da strada perché li trovavi in bancarelle improvvisate all’aperto per le vie cittadine, riconoscibili da lontano dal fumo che saliva dai “rustituri” e attirati dall’inconfondibile e inebriante odore che fungeva anche da guida. Non c’era che l’imbarazzo della scelta: il Tajuni con lo storico protagonista dello street food messinese Salvatore Vento, meglio noto come “Lulli”, con il suo banchetto di via Catania nei pressi del Cimitero Monumentale; la Virina; la Stigghiola; il “Sangunazzu”.
Ristoranti, trattorie e bettole (ne ricordiamo alcune) rispondevano ai nomi di “Alberto” (braciole di pesce spada arrosto, cucina raffinata e un solo difetto: i piatti erano grandi e al centro meno di una cucchiaiata); “Borgia”; “Costa” all’Annunziata (braciole di carne, chef Salvatore Macrì. Frequentato da studenti, ognuno pagava quanto e se poteva); “Don Mommo” nel viale Regina Elena; “La Macina” a Ganzirri; “Agostino”; “Il Galeone”; “Il Padrino”; “Donna Giovanna”; “La Rosa”; “Patri Natali”; “Don Fidiricu”, “Costa” in via Camiciotti; “Nuovo Peloro” in via Nicola Fabrizi; “Politeama” in via Dogali; “Livorno” nel viale S. Martino basso; la Trattoria “Don Pasqualino” ad angolo con via Risorgimento; la Trattoria “Porta Messina” affacciata su piazza Campo delle Vettovaglie; “Ficodindia”; Ristorante-Bar Pippo al corso Cavour; “’U lastricheddu”; “Lina” a Ganzirri; “Restaurant La Napoletana” a Ganzirri e “Donato Rando” a Torre Faro.
A questo punto non possiamo non chiudere questo amarcord sul mangiare a Messina senza citare Alessandro Dumas, il celebre autore dei “Tre Moschettieri”, più volte ospite della nostra città dove ebbe a scrivere: “[…] il povero ha messo la saggezza della giusta misura, il ricco le spezie orientali, l’arabo il piccante dei rossi peperoncini, lo spagnolo la profusione dell’olio, il francese la raffinatezza del gusto, il contadino l’ha provvista di melanzane, peperoni e pomodori che scoppiano di sole; l’aria africana e l’odore esotico del finocchio completano il tutto.”.
Nino Principato
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Se Messina avesse un anima e fosse ancora una città , ci sarebbero sicuramente un monumento a Pippo Nunnari e delle strade dedicate a Borgia, Triglia, Arena , Irrera e agli altri proprietari di locali storici che non furono solo esercizi commerciali ma antri e fucine di cultura , di passione, di affratellamento di cittadini che avevano un comune sentire .