Gli avengers siculi , i beati paoli…
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L’associazione sarebbe stata costituita, secondo Francesco Maria Emanuele marchese di Villabianca, come reazione allo strapotere e ai soprusi dei nobili che amministravano direttamente anche la giustizia criminale nei loro feudi.
È difficile trovare documentazioni che ne convalidino l’esistenza e l’operato, anche perché i racconti della tradizione popolare erano esclusivamente orali.
Data la natura estremamente ambigua e a tratti leggendaria se ne ignorano gli sviluppi al di là del periodo del regno normanno in Sicilia.
Ad oggi vi sono molteplici teorie non concordanti tra loro che oscillano da una affermazione della loro storicità al convincimento che ci si trovi di fronte ad una invenzione letteraria, mentre è più facile trovare documentazione a partire dalla fine del XIX secolo su una diffusione in Sicilia di una convinzione popolare riguardo all’effettiva veridicità della setta.
Il marchese di Villabianca, il più attendibile scrittore che si è interessato a questa congrega, le cui fonti si basavano sulle tradizioni orali e che ha trascritto negli “Opuscoli Palermitani”, riteneva che le sue origini risalissero alla fine del XII secolo e che fosse nata con il nome di “Vendicosi” ovvero “Vendicatori”.
Solo tra il XV ed il XVI secolo che si inizia a parlare dei Beati Paoli. Anche l’origine del nome, “Beati Paoli”, è avvolto nel mistero.
Si sono fatte le più disparate ipotesi, ma quella che sembra più accreditata fa riferimento ad una congregazione devota di San Francesco di Paola (patrono del regno delle due sicilie) , il termine “beato” invece indicherebbe una persona religiosa.
Ed infatti durante il giorno, per potere apprendere meglio i fatti che succedevano, questi uomini andavano vestiti come monaci, aggirandosi liberamente nelle chiese e, fingendo di pregare, venivano a conoscenza dei fatti su cui intervenire.
La notte complottavano su ciò che avevano visto e sentito e mettevano a punto la vendetta.
I loro verdetti erano inappellabili e spietati e per chi veniva condannato a morte non c’era via di scampo.
Veniva prelevato, incappucciato e portato al cospetto del capo. Subito dopo un “processo” sommario, la sentenza veniva eseguita: il colpevole veniva pugnalato.
Gli adepti di questa setta processavano chi abusava del proprio potere o della particolare posizione sociale per commettere soprusi ai danni dei più deboli e indifesi, ma si prestavano anche ad eseguire vendette personali e delitti comuni, forti dell’alone di mistero che li circondava.
Il leggendario tribunale dei Beati Paoli, dove la setta si riuniva, si trovava immerso nel caotico trambusto di uno dei più animati mercati storici di Palermo, quello del Capo.
E’ sempre il Villabianca che ne indicava l’ingresso da palazzo Baldi-Blandano, sull’attuale via Beati Paoli, dove attraverso un passaggio situato al primo piano dell’ingresso di questa casa, si arrivava ad un baglio scoperto, e il piano in cui si camminava non era altro che il tetto di una grotta sottostante. La grotta negli anni fu usata come luogo di riunioni segrete, o come immondezzaio privato, o anche come rifugio durante le incursioni aeree della seconda guerra mondiale.
Dei Beati Paoli si perde traccia all’inizio del secolo scorso passando da leggenda popolare( forse vera) a protagonisti di romanzi di appendice e/o film .
La mafia pare abbia mutuato dai beati paoli , regole e comportamenti anche se è stata lo strumento di oppressione utilizzato dai potenti per soffocare il popolo siciliano , non proprio vendicatori delle genti.
Giovanni Majolino
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