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ANTONINO MARIA ARDIZZONE “BARBA ELETTRICA”, IL MAGO DEI MECCANISMI DEL CAMPANILE TROPPO PRESTO DIMENTICATO

Quando entravi nel suo laboratorio in Piazza Duomo ti sembrava di essere nell’antro di un moderno alchimista: storte, alambicchi, fornelli erano sostituiti da valvole, cavi elettrici, motori. Si infervorava quando ti parlava e la sua biblica barba sprizzava scintille, non a caso Antonino Maria Ardizzone era affettuosamente soprannominato “Barba elettrica”. Un mago della meccanica e dell’elettronica che dal 1945 al 1970 aveva curato la manutenzione e il funzionamento dei meccanismi del grande campanile astronomico-figurativo, e solo lui era in grado di metterci mano.
“Mi davano ventimila lire al mese – riferiva Ardizzone cinquantatreenne sposato con tre figli, intervistato da Aristide Selmi giornalista della “Domenica del Corriere” nell’ottobre del 1972 – e l’orologio ha sempre funzionato. Quando l’ho preso in mano io era a pezzi, rovinato. Ho dovuto sostituire ingranaggi, fare modifiche. E ha sempre funzionato”.
E aveva ragione “Barba elettrica” perché i meccanismi e gli automi erano stati pesantemente danneggiati dai bombardamenti del Secondo conflitto mondiale nel 1943.
In quell’anno 1972 la Curia aveva deciso di sbarazzarsi dell’orologio perché non più in grado di affrontare le spese per la sua manutenzione. Sentito dal cronista, Mons. Giuseppe Foti procuratore dell’Arcivescovo per gli affari economici, infatti si lamentava: “Pensi che l’anno scorso abbiamo speso 22 milioni, e abbiamo calcolato che nell’arco di dieci anni dovremmo spenderne altri venticinque. Dove li troviamo tutti questi soldi?”. “Macché milioni – ribadiva polemico Ardizzone – Io avevo proposto un piano di risanamento che non superava i due, tre milioni”. E aggiungeva, “Hanno preferito rivolgersi agli Ungerer, adesso se li tengano. Guardi là, guardi il carosello dei giorni. Lo vede? Lo vede che va avanti di almeno un’ora? Ormai un fiume in piena, Ardizzone poi spiegava al giornalista come gli Ungerer avessero in qualche modo “manomesso” l’originalità di tutta la complessa macchina, fra cui i versi del gallo e del leone che in origine erano ottenuti con sistemi meccanici ad attrito: “Oggi hanno sostituito l’impianto con un nastro magnetico inciso che trasmette con una serie di altoparlanti.”.
Per quanti non lo sapessero ancora, il campanile contiene una complessa figurazione meccanica che, a mezzogiorno, rievoca alcuni episodi della storia locale ed un grande orologio astronomico, realizzati nel 1933 dai fratelli Ungerer di Strasburgo. Voluto dall’Arcivescovo Mons. Angelo Paino, venne inaugurato il 15 agosto 1933 ed è il più grande del mondo.
Nella facciata che guarda la piazza, prospettano:
un grande orologio elettrico di m. 3,50 di diametro;
nel 4° piano, un leone rampante alto 4,00 m. che per tre volte agita l’asta con il vessillo crociato di Messina, muove la coda e ruggisce. Rappresenta la forza della città sin dai Vespri Siciliani;
nel 3° piano, un gallo alto 2,20 m. che per tre volte allarga le ali ed emette il suo canto. Rappresenta l’intelligenza e l’operosità. Ai suoi lati vi sono le statue di Dina e Clarenza alte 3,00 m., due eroine che durante i Vespri del 1282 salvarono la città dall’assalto degli angioini: le due statue, snodabili dal busto in su, suonano le campane ogni quarto d’ora ed ogni ora, nell’arco delle ventiquattrore. Sullo stesso piano è collocato un gruppo di figure che rappresentano Maria di Nazareth e l’ambasceria messinese che Le rende omaggio nell’anno 42, ricevendone una lettera di protezione della città scritta personalmente dalla Madonna;
nel 2° piano, nella parte superiore, sono raffigurate quattro scene bibliche: la Natività di Gesù con i pastori; San Giuseppe, Maria e l’arrivo dei Magi; la Pasqua di Resurrezione; la Pentecoste con i dodici Apostoli e la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Ogni gruppo di figurazioni cambia in un anno, secondo il tempo della liturgia. Nel quadro sottostante si vede volare una colomba che, sul luogo detto della “Caperrina”, segna i limiti dell’area sulla quale la Madonna volle che si costruisse una chiesa col titolo di Nostra Signora della Vittoria il 12 giugno 1294, oggi Madonna di Montalto. Al termine del volo, si vede sorgere il Santuario;
al 1° piano, nel primo riquadro, è raffigurato il corso della vita umana nelle quattro età principali: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la senilità. Le statue si muovono in progressione ogni quarto d’ora mentre la morte, posta al centro, alza e abbassa la falce. Nel quadro sottostante sono simboleggiati i giorni della settimana in sette carri guidati da Apollo, per la Domenica, e, in successione, da Diana, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno. Ai carri sono aggiogati un cavallo, un cervo, una pantera, una chimera, una colomba e ancora una chimera.
Nella facciata che prospetta sul sagrato si trovano i meccanismi astronomici:
nel 3° piano, una sfera simboleggiante il globo lunare, metà dorata e metà nera, che si evolve giornalmente seguendo le fasi lunari. Essa ruota attorno al proprio asse, e, per fare un giro completo, impiega 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e tre secondi, esattamente quanto impiega la luna per la sua rotazione;
al 2° piano, un planetario costituito da un grande anello di m.3,50 che riproduce il sistema solare e le figure dello zodiaco;
al 1° piano, la rappresentazione del calendario perpetuo di m.3,50 di diametro a cerchi concentrici, con segnati i 365 giorni dell’anno e sul lato interno i dodici mesi. Al centro splende il sole e, sopra, sono riposte tre stelle a semicerchio. Un angelo marmoreo, collocato sul lato sinistro, con una freccia indica l’anno, il mese e il giorno in corso. La data cambia automaticamente a mezzanotte.
Fortunatamente, quanto paventò Mons. Foti nel 1972, non ebbe seguito, l’orologio non fu venduto e Ardizzone, con gli occhiali sistemati sulla fronte e pronti per essere inforcati, continuò a manutenerlo nel suo laboratorio da moderno alchimista, sprizzando scintille dalla sua biblica “Barba elettrica”.

Nino Principato


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